Sunday 25 September 2011

Alto tradimento, barbarie e l'importanza della Convenzione di Ginevra in Libia

da Human Rights Investigations

Sabato 17 settembre, come riporta Al Jazeera, Ahmed Bani, il portavoce militare del governo di transizione, ha dato un ultimatum alle truppe dell'esercito ancora leali a Gheddafi, dando loro un'ultima chance di unirsi alle fila dei combattenti ribelli:

I soldati e ufficiali che ignoreranno questa esortazione saranno accusati di alto tradimento”.

L'invocazione di alto tradimento in un teatro di guerra civile (“in un conflitto armato non-internazionale”) è una manovra altamente discutibile studiata per negare gli obblighi legali nei confronti degli avversari, che sarebbero obbligatori sotto il diritto umanitario internazionale, le Convenzioni di Ginevra del 1949 e i Protocolli Addizionali del 1977.

Vale la pena cogliere l'ironia, visto che:

1. L'Oran, dizionario legale, (1983) definisce alto tradimento come “[…] l'azione di un cittadino per aiutare un governo straniero a rovesciare, muovere guerra contro, o seriamente danneggiare la propria nazione”.

2. È stato dichiarato che fu proprio la prospettiva che il vecchio governo facesse un uso eccessivo della forza nel reprimere la rebellione a motivarla.

I pericoli del percorso intrapreso da Ahmed Bani (e i suoi consiglieri NATO, presumibilmente) consistono nel fatto che questo tipo di azione (e ciò è ampiamente dimostrato dagli annali della storia), tende a condurre a situazioni in cui entrambi i lati

cadono nella barbarie e cercano di superarsi a vicenda in efferatezze e rappresaglie” (Bluntschli, Das moderne Völkerrecht der civilisirten Staaten als Rechtsbuch dargestellt, 1868,288, para.512)

Le Convenzioni di Ginevra

L'articolo 3 della Convenzione di Ginevra del 1949 delinea uno standard minimo per fazioni opposte in un conflitto civile:

Nel caso in cui un conflitto armato privo di carattere internazionale scoppiasse sul territorio di una delle Alte Parti contraenti, ciascuna delle Parti belligeranti è tenuta ad applicare almeno le disposizioni seguenti:
Le persone che non partecipano direttamente alle ostilità, compresi i membri delle forze armate che abbiano deposto le armi e le persone messe fuori combattimento da malattia, ferita, detenzione o qualsiasi altra causa, saranno trattate, in ogni circostanza, con umanità, senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole che si riferisca alla razza, al colore, alla religione o alla credenza, al sesso, alla nascita o al censo, o fondata su qualsiasi altro criterio analogo.A questo scopo, sono e rimangono vietate, in ogni tempo e luogo, nei confronti delle persone sopra indicate:

a. le violenze contro la vita e l'integrità corporale, specialmente l'assassinio in tutte le sue forme, le mutilazioni, i trattamenti crudeli, le torture e i supplizi;

b. la cattura di ostaggi;

c. gli oltraggi alla dignità personale, specialmente i trattamenti umilianti e degradanti;

d. le condanne pronunciate e le esecuzioni compiute senza previo giudizio di un tribunale regolarmente costituito, che offra le garanzie giudiziarie riconosciute indispensabili dai popoli civili.

I feriti e i malati saranno raccolti o curati.

Date le situazioni sul campo in Libia, la certezza di ulteriori atrocità se non si converranno un cessate-il-fuoco e una soluzione negoziata, e e i rischi reali di genocidio contro alcune tribù, Human Rights Investigations ancora una volta domanda a gran voce un'immediata cessazione dei bombardamenti NATO (che purtroppo sono stati estesi recentemente), un cessate-il-fuoco e una fine negoziata a questo conflitto.

Link:
http://humanrightsinvestigations.org/2011/09/22/high-treason-barbarity-geneva-convention-in-libya

Tuesday 20 September 2011

LA CIA rassicura i banchieri: con un po' di PR tutto è possibile

di Rinaldo Francesca

Fate attenzione bambini, questi sono momenti solenni: e ricordatevi che domani ricorre la Giornata Mondiale del Vogliamoci Bene o Roba del Genere, noi di Àp0ti siamo lieti di annunciarvi – non senza un obbligatorio, emotivo magone alla gola.
E, alla luce di questo commuovente aggiornamento, drizziamo un po' le orecchie e ascoltiamo quanto hanno da dirci coloro che – a rischio di rovinarci la festa – ci ricordano che c'è poco da star tranquilli, sapete, con tutto quel fermento che bolle e preoccupa da quelle parti là, in Jihadi-land.
Infatti, non più tardi di una settimana fa, un David Petraeus dalle ciglia aggrottate ci ricordava che “Al Qaeda nella Penisola Araba, o AQAP [per gli amici], è emersa come il nodo regionale più pericoloso nella jihad globale”. [1]
Ma certo David, tu sì che sai dire certe cose come vanno dette, e cioè nel modo più saggio e sicuro per far carriera: ci sembra solo ieri quando quattro anni fa, nella trepida attesa di un tuo giudizio sull'andamento dell'aggressione in Iraq – giudizio che ci veniva fatto credere avrebbe finalmente rivelato se la decisione di mandare ulteriori 30 mila truppe USA in Iraq fosse o non fosse stato efficace per “rappacificare il paese” (???) – tu ci sorprendesti con un assessment che miracolosamente riusciva ad accontentare tutti! Sì, come dire, ehm, c'erano stati dei progressi... ma non abbastanza per precipitare un rimpatrio... No, l'invio delle truppe era stato perlopiù un fallimento... ma non abbastanza da poter dire che non fosse stata una decisione necessaria... [2]
Un capolavoro di risposta, David!
Queste, vedi, sono le cose che permettono una rapida promozione: tu sì che hai imparato la lezione – mica come quel cialtrone del tuo collega, generale Stanley McChrystal, che commise il fatale errore di dire ciò che pensava... e adesso di lui non si sa più niente. [3]
E, a voler delineare una sorta di causa-effettto che colleghi quei giorni con oggi, si potrebbe dire che furono proprio quelle tue oculate parole a tracciare il futuro della tua carriera (da comandante delle forze US a direttore della CIA) e dell'ormai sempiterna occupazione dell'Iraq (46000 unità a tutt'oggi ancora in Iraq, anche se si biascica di ridurle a 5000, più naturalmente decine di migliaia di mercenari privati, un'ambasciata delle dimensioni del Vaticano e 47 basi militari USA). [4]
Niente male, hey?
Ordunque, adesso Petraeus torna alla carica, cantandoci nuovamente la sua hit di successo (cavallo che vince non si cambia), che suona pressapoco così: abbiamo-fatto-progressi-eppure-in-qualche-modo-il-pericolo-è-adesso-maggiore.
Capito? O devo spiegarvelo più lentamente?
Senonché oggi il bersaglio è lo Yemen, dove AQAP ha potuto “cooptare le tribù locali ed estendere la sua influenza, [ragion per cui] dobbiamo chiaramente intensificare la nostra collaborazione e negare ad AQAP il covo che sta cercando di stabilire”.
Chiaramente.
Nulla a che vedere, per carità, con il fatto che lo Yemen sia ancora una delle poche – e sempre più poche – nazioni a non essere ancora consegnata mani e piedi al cartello bancario internazionale: nazioni di cui faceva parte anche la Libia (con Banca Centrale Libica saldamente nelle mani dello stato) fino a che i “ribelli” non hanno messo a posto le cose a marzo, fondando (ancora in piena guerra civile) la loro banca centrale [5], che il governo USA ha immediatamente riconosciuto come l'unica intermediaria “legittima” per il futuro dell'economia libica.
Oh certo, diamo tempo al tempo: sappiamo che l'anno scorso Masood Ahmed, direttore del dipartimento del Fondo Monetario Internazionale per Medio Oriente e Asia Centrale era in visita in Yemen per sbolognare un programmino di vari aggiustamenti strutturali, modifiche di politiche fiscali e di tariffe [6] e che, di ovvia conseguenza, i cittadini yemeniti possono dormire tra due guanciali. Tuttavia, dettaglio fastidioso, lo Yemen continua a non essere membro della Banca dei Regolamenti Internazionali (così come non lo era la Libia sino a pochi mesi fa)... No, macché, tutta una coincidenza! Cosa andiamo a pensare...
Così come è naturalmente una coincidenza che, ad una settimana dal discorso di Petraeus apprendiamo che, puntuali come eccellenti attori che abbiano appena ricevuto il segnale dal regista, si stanno sempre più intensificando le proteste per le strade (fomentate adesso da elementi dell'esercito che sono passati dall'altra parte - ma tu guarda!), così come la repressione da parte del governo. [7]
E può essere solo una coincidenza che tutto questo stia avvenendo sullo sfondo di un sempre maggior numero di attacchi USA in Yemen mediante aeromobili a pilotaggio remoto. [8]
Raccontaci Petraeus, è già arrivato il momento di “distruggere il paese per poterlo salvare”, nelle parole del poeta? A quando l'escalation? Sì, lo sappiamo: i banchieri sono impazienti, e a te è toccato il duro compito di tranquillizzarli, dire loro che non si può procedere senza aver prima condizionato e indottrinato la mente di noi – pubblico ignorante – sulla necessità sacrosanta di passare alle maniere forti anche in Yemen. Ci vorrà del tempo, ce ne rendiamo conto. E allora fa' del tuo meglio, e mi raccomando Petraeus: le public relations di questa nuova “guerra di percezioni”, per usare le tue parole, sono nelle tue mani: non ci deludere!

[1] Al-Qaeda in Arabian Peninsula 'most dangerous', The Telegraph, 13 settembre 2011, disponibile su:
http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/al-qaeda/8760342/Al-Qaeda-in-Arabian-Peninsula-most-dangerous.html
[2] Suzanne Goldenberg:
Petraeus tells troops: surge has not worked out as we had hoped, The Guardian, 8 settembre 2007, pubblicato qui:
http://www.guardian.co.uk/world/2007/sep/08/usa.iraq
[3] Michael Hastings:
The runaway general, Rolling Stone Magazine, 22 giugno 2010, reperibile su:
http://www.rollingstone.com/politics/news/the-runaway-general-20100622
[4] Greg Jaffe:
Obama wants to keep 3,000-5,000 U.S. troops in Iraq into 2012, The Washington Post, 8 settembre 2011, disponibile qui:
http://www.washingtonpost.com/world/national-security/obama-wants-to-keep-3000-5000-us-troops-in-iraq-into-2012/2011/09/07/gIQAcnkhAK_story.html
[5] Bill Varner:
Libyan Rebel Council Forms Oil Company to Replace Qaddafi’s, Bloomberg News, 22 marzo 2011, pubblicato su:
http://www.bloomberg.com/news/2011-03-21/libyan-rebel-council-sets-up-oil-company-to-replace-qaddafi-s.html
[6] Vedere:
http://www.imf.org/external/np/country/notes/yemen.htm
[7]
Yemen unrest: Saleh forces 'shell Sanaa protest camp', BBC News, 20 settembre 2011, reperibile qui:
http://www.bbc.co.uk/news/world-middle-east-14982712
[8] Karen DeYoung:
U.S. increases Yemen drone strikes, The Washington Post, 17 settembre 2011, disponibile su:
http://www.washingtonpost.com/world/national-security/us-increases-yemen-drone-strikes/2011/09/16/gIQAB2SXYK_story.html

Friday 16 September 2011

Gilad Atzmon: messaggio di pace e uguaglianza

Quando ero un giovane israeliano credevo nell'ethos sionista, mi consideravo una parte integrante del moderno progetto del revival ebraico. Vedevo me come parte della storia ebraica, e la storia ebraica come un'estensione di me. Da giovane israeliano, cresciuto all'indomani della Guerra dei Sei Giorni del 1967, vedevo me stesso e la gente attorno a me come una coscienza collettiva in evoluzione, impegnata a combattere una battaglia rivoluzionaria all'insegna della giustizia storica.
Mi ci volle un po' per rendermi conto che il mio progetto di revival storico era in realtà una catena di punti oscuri. Mi ci vollero diversi anni per capire di essere io stesso un punto oscuro. Ricordo, alle scuole superiori, la mia visita al Yad Vashem, il museo israeliano dedicato all'Olocausto che si trova vicino a Deir Yassin, un villaggio palestinese i cui abitanti furono sterminati nel 1948. Avevo quattordici anni all'epoca. Domandai all'emotiva guida turistica se fosse in grado di spiegarmi il fatto che così numerosi europei odiassero gli ebrei così tanto, e in così tanti posti diversi contemporaneamente. Fui sospeso da scuola per una settimana. Eppure, a quanto pare, non imparai la giusta lezione perché, quando ci ntrovammo a studiare le accuse del sangue medievali, ancora una volta mi domandai ad alta voce come l'insegnante potesse mai essere certo che queste accuse, secondo le quali gli ebrei trasformavano il sangue di giovani goyim in matza, fossero effettivamente vuote e senza fondamento. Nuovamente fui mandato a casa per una settimana. Durante la mia adolescenza passai la maggior parte delle mie mattinate a casa piuttosto che in classe.
Per quanto fossi un giovane scettico, ero anche orripilato dall'Olocausto. Negli anni '70, i sopravvissuti dell'Olocausto facevano parte del mio panorama sociale. C'erano i nostri vicini – li incontravamo in serate tra famiglie, in classe, in politica, nei negozi dietro l'angolo. Erano parte della nostra vita. I numeri scuri, tatuati sulle loro braccia non sbiadivano mai. Ciò ha sempre avuto un effetto agghiacciante. Tuttavia devo far presente che non ricordo un solo sopravvissuto dell'Olocausto che abbia mai tentato di manipolare le mie emozioni. Recentemente ho parlato con un amico scozzese che era partito volontario per andare a lavorare in un kibbutz negli anni '70. Quel kibbutz era noto per la sua alta concentrazione di sopravvissuti dell'Olocausto. Il mio amico scozzese mi ha reso noto di quanto gli fosse piaciuta quell'esperienza, passata a lavorare e confrontarsi con quei sopravvissuti. Erano per la maggior parte molto silenziosi ed educati, non usavano mai il loro passato per farsi belli. Quelli che non riusciva proprio a sopportare erano i giovani israeliani. La mia esperienza era molto simile: per ciò che posso testimoniare io, sono sempre stati i sedicenti figli, figlie e nipoti i sopravvissuti a strumentalizzare l'Olocausto come argomento politico, o per esigere qualche forma di favoritismo.
Ha ragione lo storico americano Norman Finkelstein a dichiarare che Israele ha trasformato l'Olocausto in uno strumento politico nel 1967, quando aveva bisogno di un pretesto 'etico' in quanto occupante non etico. Devo ammettere che, persino quando ero un giovane nazionalista, mi sono sempre sentito a disagio con l'Olocausto. All'epoca pensavo che gli ebrei non dovessero vantarsi così tanto di essere detestati.
Fu proprio l'interiorizzazione del significato dell'Olocausto a trasformamri in un forte oppositore di Israele e dell'ebraicità. Fu l'Olocausto che alla fine mi rese un devoto sostenitore dei diritti dei palestinesi, della loro resistenza e del loro diritto al ritorno. Nel 1984, da soldato, durante una breve visita al campo di concentramente di Anzar, in Libano, mi resi conto di essere dal lato sbagliato.
Mi è stato anche fatto notare che il mio atteggiamento critico nei confronti del sionismo può persino essere visto come un grande successo del sionismo stesso, che prometteva di creare un dibattito 'libero', aperto, razionale e liberale. Anzi, da buon israeliano, non mi trattengo, né ho peli sulla lingua. Come se ciò non bastasse, non è certo un segreto che ho tutta l'aria – e l'accento – di un israeliano. Può anche darsi che queste siano qualità necessarie per poter capire la mentalità, la politica, l'identità e la cultura israeliane. Fra le più prolifiche voci critiche di Israele e dell'ebraicità troverete israeliani ed ex-israeliani come Israel Shahak, Israel Shamir, Gideon Levi, Shimon Tzabar, Shlomo Sand, Avrum Burg, Amira Hess, Uri Avneri, Tali Fachima, Mordechai Vanunu, Nurit Peled e altri ancora. Immagino che ci debba pur essere qualche cosa di positivo nel patrimonio sionista, se è riuscito a produrre tali e tante voci critiche. I media israeliani cercano costantemente di trascinarmi in un dibattito. Sembrerebbe dunque che esista un elemento di apertura all'interno della realtà sionista.
Da giovane ebreo israeliano laico, credevo entusiasticamente nella possibilità di trasformare il carattere ebraico in un 'collettivo civilizzato e autenticamente umanista'. Credevo di farne parte io stesso. E poi capii, attraverso un lungo e doloroso processo, che Israele non avrebbe mai prodotto 'l'ebreo umanista'. Era troppo impelagato in un colossale peccato ed era troppo arrogante per salvarsi dalle proprie circostanze, irrimediabilmente condannate. Mi resi conto che, se ero realmente entusiasta nei confronti dello stile di vita dei goyim, mi sarebbe semplicemente convenuto lasciarmi Israele alle spalle, vivere in mezzo ai goyim e cercare persino di diventarlo io stesso. E così feci. Finora non mi sono mai voltato indietro con rimpianto. Sono perfino fiero di quelle contraddizioni che sono riuscito a conservare.
Suppongo che terminare questo libro senza un tentativo di riappacificazione o riconciliazione sarebbe un'opportunità mancata: inutile dire che non mi aspetto da un momento all'altro una soluzione da queste 'negoziazioni di pace'.
Immaginate che un membro del parlamento israeliano si svegli una mattina con un'insolita determinazione a realizzare la pace autentica. Nelle ore piccole del mattino, la saggezza si deposa su questa persona. Si rende conto che Israele è in realtà la Palestina: si è esteso sopra alla Palestina storica ai danni dei palestinesi, le loro fonti di sustentamento e la loro storia. Capisce che i palestinesi sono i nativi di quella terra e che i razzi che sparano ogni tanto non sono altro che lettere d'amore indirizzate ai villaggi, agli aranceti, alle vigne e alle terre che gli sono state rubate. Il nostro immaginario parlamentare israeliano si rende conto che il cosiddetto conflitto israelo-palestinese può risolversi in 25 minuti, una volta che entrambi i popoli abbiano deciso di vivere insieme. In linea con la tradizione israeliana dell'unilateralità, viene immediatamente convocata una conferenza stampa lo stesso giorno alle 14:00. Sotto l'influenza di questo nuovo senso di giustizia, il/la parlamentare annuncia al mondo e alla sua gente che 'Israele comprende le sue uniche circostanze e la sua responsabilità per la pace nel mondo. Israele richiama i palestinesi, affinché possano ritornare nelle loro case. Lo stato ebraico diventerà lo stato dei suoi cittadini, dove tutte le persone godranno degli stessi diritti'.
Sebbene scioccati dall'improvvisa mossa di Israele, gli analisti politici attorno capiscono ben presto che, considerando che Israele rappresenta le comunità ebraiche nel mondo, una semplice iniziativa pacifica di tale portata non si limiterà a risolvere il conflitto in Medio Oriente, ma metterà anche fine e due millenni di reciproco sospetto e risentimento fra cristiani ed ebrei. Alcuni accademici, ideologi e politici israeliani di destra si uniscono alla rivoluzionaria iniziativa e dichiarano che un simile, eroico atto unilaterale da parte di Israele potrebbe diventare la sola e unica realizzazione del sogno sionista, poiché non solo gli ebrei sono ritornati a quella che che affermano essere la loro terra storica, ma sono anche riusciti, finalmente, ad amare i loro vicini ed esserne in cambio amati.
Per quanto emozionante sia quest'idea, non dovremmo apsettarci che una cosa del genere succeda di qui a poco, perché Israele è lo stato ebraico, e l'ebraicità è un'ideologia etno-centrica, motivata da esclusivismo, eccezionalismo, supremazia razziale e un'insita e profonda tendenza alla segregazione.
Perché Israele e gli israeliani diventino come tutti gli altri, devono prima essere eliminate tutte le tracce d'ideologia sulla superiorità razziale ebraica. Perché lo stato ebraico si metta a guidare l'iniziativa di pace, deve prima essere de-sionizzato – dovrebbe per prima cosa cessare di essere lo stato ebraico. Similmente, anche il nostro immaginario parlamentare israeliano deve essere de-sionizzato perché possa muovere i passi verso la pace.
Come stanno adesso le cose, lo stato ebraico è categoricamente incapace di guidare la regione verso la riconciliazione. Gli mancano gli ingredienti necessari per pensare in termini di armonia e riconciliazione. Le uniche persone in frado di portare la pace sono i palestinesi, perché la Palestina, contro ogni aspettativa, e nonostante interminabile sofferenza, umiliazioni e oppressione, è ancora una società etica ed ecumenica.
Per quanto riguarda gli ebrei, alcune domande rimangono. Può il discorso sull'identità ebraica liberarsi di questa auto-imposta tirannide ideologica e spirituale? Può la politica ebraica allontanarsi dalle logiche di supremazia? Possono ancora salvarsi gli ebrei? La mia risposta è semplice: perché l'ideologia ebraica si universalizzi, e perché gli ebrei si evolvano e si emancipino, deve avvenire un viogoroso e onesto processo di auto-riflessione. Che gli ebrei possano o meno buttarsi in una simile impresa critica resta ancora una domanda aperta. Non conosco la risposta, immagino che alcuni possano, altri no. Vorrei sperare, però, che questo libro fornisca un buon primo passo.

Tratto dal libro Il 'Chi?' Errante, settembre 2011, Zero Books, Londra.

Sunday 11 September 2011

Roberto Quaglia: Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sull’11 settembre 2001, ma che non avete mai osato chiedervi

Quale occasione migliore per rispolverare questo saggio, scritto da Roberto Quaglia otto anni orsono? Qui sotto ne ritrovate un estratto, che speriamo invogli quei quattro gatti che ancora non l'hanno letto a leggere l'intero saggio, reperibile qui. Raccomandiamo inoltre l'acquisto del libro Il Mito dell'11 Settembre, dove il tema viene trattato in 500 pagine mozzafiato.

La popolazione mondiale raddoppia ogni trent'anni circa. E' un aumento esponenziale che inevitabilmente condurrà prima o poi (più prima che poi) ad una catastrofe globale con centinaia di milioni — o miliardi — di morti, a meno che non si riesca ad arrestare subito l'aumento della popolazione nei paesi del terzo mondo. E' un problema assai noto soprattutto nella comunità degli appassionati di fantascienza, poiché molti scrittori SF lo hanno ampiamente trattato da mezzo secolo a questa parte. Il problema è che l'unico sistema realistico per arrestare l'aumento della popolazione in un paese povero è quello di elevare sensibilmente il livello di benessere delle persone così che i figli vengano a rappresentare, come da noi, un costo anziché una risorsa. Questa, che sarebbe l'unica soluzione realistica, è tuttavia irrealizzabile per tre motivi fondamentali: 1. Mancanza di risorse a livello globale 2. Mancanza di paesi residui da depredare (il nostro benessere attuale è fondato sullo sfruttamento delle risorse e del basso costo del lavoro dei paesi poveri — se tutti al mondo diventano benestanti, chi si sfrutta per generare tanto benessere?) 3. Se anche fosse possibile, contro ogni legge fisica, elevare il livello di vita di tutti i paesi poveri ai nostri standard (o anche solo a metà o un terzo dei nostri standard), la società umana soccomberebbe immediatamente sotto il peso di inquinamento, scomparsa di tutte le foreste, effetto serra ed altre eclatanti catastrofi. E comunque, se per ipotesi anche resistesse qualche anno, poi finirebbe di colpo il petrolio e allora finalmente tanti saluti a tutti. Un recente articolo titolato Earth Will Expire by 2050(36) riporta uno studio del WWF secondo il quale nel 2050 comunque non ci sarà più pesce negli oceani, non ci saranno più boschi e foreste, l'acqua potabile sarà poca e imbevibile ovunque e ci vorranno altri due pianeta Terra per fornire le risorse necessarie alla società umana per sopravvivere nel modo attuale. Figuriamoci se ci si mettesse anche il Terzo Mondo a consumare come noi! La bomba è innescata e la miccia si sta rapidamente consumando. Tra poco scoppia.
In pratica, nel mondo reale, non c'è soluzione ai noti problemi e la strada verso la catastrofe naturale è in discesa e senza bivi.
Bene. Cioè, pazienza. Insomma, cosa possiamo farci io o te? Spassarcela finché dura.
Cambiamo però punto di vista. Tu non sei più chi sei. Tu sei un altissimo funzionario del Pentagono o della CIA. Tu sai queste cose e come te le sanno i tuoi colleghi. I migliori analisti e scienziati te le hanno ripetute alla nausea — è mezzo secolo che lo vanno ripetendo a te e ai tuoi predecessori, anche se (forse) non ti suggeriscono le soluzioni. Perché soluzioni accettabili non ce ne sono. Sai che già nel 1974 Kissinger aveva raccomandato alla direzione della CIA di perseguire la riduzione della natalità nei paesi del terzo mondo,(37) cosa che non è stata fatta. Sai che la bomba demografica è innescata e prima o poi scoppierà devastando — come è inevitabile — la floridità ed eventualmente anche la sopravvivenza del tuo paese, forse addirittura della stessa civiltà umana. Sai che il petrolio non è illimitato, che si sta rapidamente consumando, che con l'aumento demografico e l'industrializzazione di nuove nazioni (esempio Cina) esso si consumerà sempre più rapidamente e che quando inizierà ad essercene troppo poco per i bisogni di tutti una guerra globale per il controllo delle ultime riserve sarà inevitabile, dato che nessuno vorrà spontaneamente rinunciare al proprio benessere. Sai che solo pochi decenni ci separano da questo scenario da fine del mondo — non migliaia o milioni di anni, solo poche decine. Sai che la catastrofe naturale, quando avverrà, completamente incontrollata, non potrà che uccidere miliardi di persone in tutto il mondo. Ti sei chiesto per anni se piuttosto non fosse preferibile una catastrofe progettata e controllata. Sai di non avere scrupoli facili. Per la devozione verso l'idea che hai del tuo paese (non disgiunta da una corretta porzione di interesse personale) hai già accettato l'idea di uccidere più di tremila tuoi compatrioti a Manhattan e al Pentagono allo scopo di ottenere carta bianca dal tuo popolo per il perseguimento nel mondo degli interessi americani. Un sacrificio doloroso, ma necessario. E dire che per ridurre al massimo le perdite di vite umane hai pianificato l'attentato di primo mattino, quando il grosso dei 50.000 individui che quotidianamente affollano le Torri Gemelle non è ancora sul lavoro; un terrorista come si deve avrebbe agito a metà giornata, ma tu non sei un terrorista. Sei un patriota che si rende conto che un grande potere implica una grande responsabilità (lo dice anche l'Uomo Ragno), e che la vita dei singoli è irrilevante paragonata al benessere e alla sicurezza del gruppo e delle generazioni future. Hai accettato di invadere paesi lontani uccidendo decine di migliaia dei suoi abitanti. Come ad un becchino o ad un chirurgo, la morte altrui non ti fa più effetto. Il problema dell'esplosione demografica ti ossessiona, soprattutto in relazione alle disponibilità di petrolio, perché sei un individuo razionale e sei allenato a vedere le conseguenze a lungo termine degli eventi, delle decisioni e delle strategie. Sai anche cose che la gente normale non sa. Conosci i risultati delle ricerche sulla guerra biologica effettuate da altri reparti della tua organizzazione. Sai che già nel 1970 le tue Forze Armate hanno creato virus influenzali mutanti incrociandoli con virus che generano la leucemia acuta, così da ottenere una forma di cancro ad azione letale rapida in grado di propagarsi come l'influenza ad ogni starnuto. Ma questo lo sanno in molti. Tu sai molto di più. Tu conosci anche i risultati dei trent'anni di ricerche successive. Sai di avere in mano lo strumento per rinviare di almeno 100 anni il problema della sovrappopolazione. Decidere per la morte di individui lontani non ti fa effetto. Sei un soldato, è il tuo mestiere. Lo hai già fatto. Lo fai quotidianamente. Un milione o un miliardo, che differenza c'è? Sono solo numeri. Sarebbero morti comunque, dopo essersi riprodotti ed aver aggravato il problema. Le malattie sono una morte pulita, il mandante rimane invisibile.
A parte gli scherzi, ci si può sempre consolare con i seguenti argomenti:
1. Può darsi che la comparsa di una nuova malattia esattamente assieme la comparsa delle truppe americane in Iraq sia effettivamente solo una coincidenza; dopotutto ogni tanto le cose improbabili accadono davvero, c'è davvero qualcuno che vince alle lotterie (anche se non sei mai tu)
2. Se non è una coincidenza, può sempre darsi che si tratti solo dell'operazione tattica di paracadute mediatico menzionata sopra, e che non sia una prova generale per The Big One.
3. Se è una prova generale in vista dell'Operazione Sfoltimento Umanità, puoi sempre sperare che le armi biologiche utilizzate siano almeno abbastanza intelligenti (proprio come le bombe) da essere progettate per risparmiare te. E' infatti noto che ci sono ricerche per la creazione di gene specific bioweapons, in pratica virus in grado di colpire solo determinati gruppi etnici. In questo caso, tu non corri rischi. A meno che, per colmo di sfiga, il tuo DNA risulti non essere in linea con le nuove normative segrete in tema di DNA consentito, nel qual caso pazienza. E qualcosa mi dice che se non sei biondiccio, occhi azzurri, con la pelle chiara ed alcune lentiggini in faccia, qualche motivo per preoccuparti lo hai.
4. Puoi sperare che si tratti di una banale operazione di guerra bioeconomica. (sulla guerra bioeconomica parlo più avanti)
5. Chi scrive ciò che stai leggendo ha scritto anche parecchi libri di fantascienza. Questo può essere un argomento tranquillizzante. Oppure inquietante. A te la scelta.
Visto che il quadro della realtà che stiamo dipingendo assomiglia sempre di più ad uno scenario fantascientifico, tanto vale lasciarsi andare di seguito anche ad un paio di speculazioni prettamente fantascientifiche, più che altro per tirarci su il morale.
L'Operazione Sfoltimento Umanità vera e propria probabilmente non inizierà sino a quando la ricerca sui gene specific bioweapons non avrà raggiunto livelli di alto perfezionamento. Si potrà allora parlare di epidemie chirurgiche, ovvero epidemie mirate a distruggere discretamente solo specifiche razze o portatori di specifiche caratteristiche somatiche. Di fatto si parlerà di epidemie chirurgiche solo tra gli addetti al lavoro di sterminio, dato che al grande pubblico, per ragioni di correttezza politica (qualcuno potrebbe giudicare le epidemie chirurgiche come una procedura leggermente nazista), verrà presentata una realtà differente; la Realtà di un mondo da sempre difficile e crudele, nel quale però in epoca moderna la scienza eroicamente si erge a difesa delle nostre vite in una drammatica lotta contro il tempo tesa a scoprire nuove cure in grado di fronteggiare i nuovi mali della natura. Vaccini e medicine verranno di volta in volta realizzati giusto in tempo per permettere ai ceti più abbienti di investire in salute un po' dei loro denari. Al nobile scopo di finanziare la ricerca farmaceutica verranno create anche malattie croniche finalizzate a costituire un serbatoio di clienti-pazienti destinati a pagare a caro prezzo per il resto della loro vita le prodigiose medicine in grado di tenerli in vita (esattamente come già oggi avviene con l'AIDS — toh! un'altra coincidenza, ma come siamo fortunati oggi!). L'industria farmaceutica ha come propria missione quella di cronicizzare le malattie dei pazienti anziché curarle (per l'industria farmaceutica sarebbe un disastro se tutti guarissero davvero dai loro mali, come giustamente professa anche Beppe Grillo nei suoi sermoni underground, divenuti in Italia ormai uno dei culti della rete(39) e quando in futuro l'industria per la cura delle malattie potrà lavorare a braccetto con l'industria per la generazione delle stesse, ne vedremo delle belle! Ma... siamo certi che non le stiamo già vedendo?
Coincidenza o non coincidenza, la SARS ha curiosamente centrato il bersaglio di uno dei più pressanti e controversi problemi che l'America si ritrova a fronteggiare oggi: l'emergere della Cina come nuova superpotenza. Da un lato lo sviluppo della Cina rappresenta a lungo termine la più grande minaccia in assoluto all'egemonia americana, dall'altro, a breve termine esso rappresenta un utilissimo (se non indispensabile) mercato sul quale piazzare i propri prodotti, a tal modo riuscendo (forse) a rinviare una drammatica recessione. La SARS ha provvidenzialmente inferto un colpo duro, ma non mortale, all'economia cinese, rallentandone un po' lo sviluppo senza però che l'importante mercato costituito dalla Cina andasse perduto. A pensar male si fa peccato, ma...

Per l'articolo completo:
http://www.pasti.org/rquaglia.html

Monday 5 September 2011

Le radici dei disordini in Siria: politica o religione?

La Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Francia stanno insistendo per sanzioni più severe contro il presidente siriano al-Assad, che si crede abbia ordinato la tortura e l'uccisione di dimostranti. Ma per le strade non sembra esserci alcun segno reale di dissenso anti-governo.
Persino le aree più povere della città siriana di Homs che, ion quanto centro di raccolta per dimostranti che si dirigono verso la città, ha visto grandi disordini, ora sembra tranquilla e sicura.
La gente per le strade ha detto a RT che la maggior parte dei disordini nella città è causata da differenze religiose, non politiche. La gente dice che non si tratta di [dimostranti] contro il governo, e che non vi è alcun perseguimento di obiettivi politici.
La maggior parte delle controversie a Homs sorge da differenze tra musulmani Alawi e Sunniti.
L'esercito mantiene una presenza per tenere sotto controllo la zona e impedire scontri tra gruppi religiosi ma, come riferisce Irina Galushko di RT, non vi sono né carri armati né equipaggiamento d'artiglieria pesante da nessuna parte.
In Siria, il periodo delle preghiere di mezzogiorno è divenuto, quasi per tradizione, un momento di violenza, essendo l'ora in cui la gente si riversa nelle strade dalle moschee.
Ma la vita a Homs sembra scorrere in modo tranquillo, e le uniche inconvenienze sono quelle create dalle troupes dei cameramen televisivi che filmano durante la giornata.

Trovato qui:

http://www.informationclearinghouse.info/article29019.htm