Monday 29 March 2010

Via libera agli OGM della BASF

di Rinaldo Francesca

Ma chi crediamo di essere?
Davvero, scusate cari amici, ma – onestamente – dove pensiamo mai di poter arrivare, con la nostra incapacità di concentrarci, la nostra amnesia congenita, la nostra sindrome da deficit di attenzione, la nostra... la nostra... toh, è entrata una farfallina dalla finestra, che bei colori, mi ricordano quelli della giacca che devo assolutamente avere, quella che ho visto in vetrina da... da... insomma, lì, mentre facevo una vasca in Via... ero lì con la Stefy... o era Dennis? Che poi, ragazzi com’è ingrassata la Giusy, quasi non la riconoscevo, oops, mi squilla l’i-phone!
Ecco, vedete che cosa succede?
Certo, d’accordo già vi sentiamo dare la colpa a tanti fattori come, che so io, alle massicce dosi di additivi alimentari cui siamo stati esposti per decenni (E numbers, apartame) e che notoriamente provocano iperattività e danni cerebrali [1]; o magari alla televisione, infallibile arma di instupidimento di massa, il cui prodotto ci infliggiamo quotidianamente e che ci programma sapientemente il cervello da sempre - perché altrimenti suddetto prodotto andrebbe sotto la definizione di “programmi”?
Però è possibile ci siano anche ragioni storiche – solo un piccolo spunto di riflessione, via, non intendiamo dilungarci.
Dopotutto noi cittadini/lavoratori europei (ci riferiamo a quella generazione che una decina d’anni fa – lustro più, lustro meno – entrò nel mondo del lavoro in questo nuovo super-stato) siamo coloro che erano appena in fasce, o ancora da concepire quando, nelle strade e piazze d’Europa, miriadi di giovani andavano strillando vogliamo-tutto-e-sùbito, o qualcosa del genere.
Piccola parentesi, questo naturalmente non vale per l’Italia dove, per quanto riguarda l’entrata nel mondo del lavoro, la generazione di cui sopra si trova oggi nella fase ehm-mi-mancano-solo-2-3-esami-mamma-non-mi-stressare-che-cosa-c’è-per-cena?
Ma qui si divaga: ciò che si voleva dire è che, nati come siamo in quest’atmosfera di tutto-e-sùbito, come pensiamo di competere con chi da queste illusioni è immune, e che ne approfitta per – tenetevi pronti per la controversa eppur calzante metafora – poterci sodomizzare ad arte?
Dovremmo prendere esempio da figure eroiche del passato.
Per ispirazione, guardiamo alla vita del tedesco Carl Wurster, che fu presidente del consiglio di amministrazione della BASF durante la Seconda Guerra Mondiale.
Ora, essendo stata la BASF una componente della I.G. Farben, il conglomerato petrolchimico che finanziò l’ascesa del nazismo e che in cambio ottenne manodopera gratuita ed esseri umani su cui sperimentare sotto forma di prigionieri nei campi di concentramento, era prevedibile che, finita la guerra, il nostro Wurster sarebbe stato pregato di presentarsi al processo di Norimberga per spiegare due o tre cosette – il che puntualmente avvenne.
Ovviamente noi, fossimo stati al posto di Herr Wurster, avremmo intravisto in quelle accuse di schiavitù, nonché di crimini di guerra e contro l’umanità, la fine della nostra carriera e vita da persone libere.
Ma non Carl Wurster.
Ah no, lui non era certo di quelli che volevano tutto e sùbito, lui sapeva aspettare. La sconfitta in guerra e il processo di Norimberga furono per lui – come per tanti altri industriali tedeschi – solo dei trascurabilli ostacoli nel percorso, tant’è che, nemmeno quattro anni dopo il processo, il buon Wurster riottenne la posizione al timone della sua amata compagnia: dal 1952 al 1974, anno della sua morte, Carl Wurster fu dunque nuovamente a capo, questa volta come amministratore delegato, della sua BASF, la quale non fu nemmeno costretta a rifarsi una verginità e poté conservare il suo nome originale.
Lieto fine.
Ma non finisce certo qui: vedete, quello stesso ethos, quella stessa perseveranza e capacità di aspettare fanno tuttora parte della panoplia di valori nella BASF di oggi.
Vero, le tecnologie sono cambiate, i prodotti che la BASF regala adesso al mondo hanno una differente sfumatura di perfidia, però la saggia filosofia dei suoi fondatori non è stata tradita.
Eh sì, questa lungimirante compagnia è in grado di passare anche più di un decennio e mezzo fregandosi le mani nell’ombra mentre aspetta di poter finalmente vedere i suoi prodotti più controversi strisciare silenziosamente nel mercato internazionale. Senza spazientirsi, sbuffare o sbattere i piedini. Con discrezione.
Uno dei prodotti in questione si chiama amflora, una varietà di “patata” geneticamente modificata in modo tale da contenere un amido costituito quasi esclusivamente di amilopectina, il che dovrebbe facilitare l’estrazione di questo composto per l’industria della carta, tessile e di adesivi.
Capito? Nulla di cui preoccuparsi dunque.
Se si eccettua naturalmente il rischio di contaminazione del suolo, la minaccia alla biodiversità e il pericolo di trasferimento di un certo enzima che ha l’antipatica abitudine di interferire con la resistenza degli organismi agli antibiotici.
Per quest’ultimo problemino, trattandosi di antibiotici vitali nel combattere la tubercolosi, la EMeA (European Medicine Agency) ha suonato l’allarme; forse è questo il momento di aggiungere che, oltre a usare amflora per estrarre l’amido, la BASF si augura anche di poterne sdoganare gli scarti e venderli come nutrimento per il bestiame (le cui carni non sarebbero etichettate come OGM) [2].
Per il momento non c’è nulla di certo ma, dovesse questo essere il futuro, bisognerebbe aspettarsi un nuovo risorgere globale di TBC?
Che dire, se questo è il caso, alla BASF - dove vige il motto Geld Uber Alles - nessuno sembra preoccupato. Ve lo avevamo detto che questi sanno aspettare, nella certezza che prima o poi l’avranno vinta, no?
Pensate, fecero domanda per coltivare amflora in Europa nel lontano 1994: è da allora che aspettano il loro momento. Nel frattempo hanno incassato colpo su colpo, a causa di noialtri egoisti europei, che ci ostiniamo a non voler fungere da cavie umane per prodotti che nessuno veramente conosce.
Ciononostante, proprio come per Rocky Balboa, ogni colpo incassato sembra aver resa la BASF più forte e combattiva.
Quanta pazienza devono aver avuto i nostri amici alla BASF: tutti quegli anni ad aspettare, tutti quei due di picche dai politici, per non parlare dell’antipatica moratoria nella Comunità Europea, che imponeva un periodo di attesa sufficiente a consentire tutti gli studi necessari sugli OGM prima di approvarli.
Davvero, ma di che avevamo mai paura noi pavidi cittadini europei? Neanche ne andasse della nostra salute!
Insomma, fallite miseramente anche le campagne PR in stile Organismi Geneticamente Modificati: Proprio Come Natura Vuole, Ma Però Ancora Più Meglio, risultò chiaro che, se si voleva veramente vendere in EU l’incompresa amflora - e in séguito tanti altri suoi fratelli di provetta – sarebbe stato necessario aggirare tutti quei seccanti ostacoli democratici, e imporre il prodotto con la forza, che ci piacesse o no.
Detto fatto, L’Organizzazione Mondiale del Commercio provvide a sgridare la Comunità Europea per quella moratoria birichina, che venne prontamente eliminata nel 2004. D’altronde non era certo la prima volta che l’UE veniva redarguita per i suoi “crimini di commercio” (i più gravi che possano esistere secondo lo statuto dell’OMC). Sarete per esempio al corrente del fatto che l’UE paga già una multa annuale di $100.000 per avere la sfrontatezza di non voler importare e rifilare ai suoi cittadini il manzo statunitense pompato di ormoni della Monsanto [3].
E poi c’è chi dice che l’OMC è inefficiente!
Un’altra piccola vittoria arrivò poi nel 2006, con l’autorizzazione a coltivare queste adorabili Frankenstein Potatoes in Gran Bretagna, in via sperimentale... e finalmente, FFwd: marzo 2010: vittoria! La Commissione Europea ha approvato questo mese la coltivazione di amflora in Europa.
Visto? Chi la dura la vince!
Ebbene sì, l’ente europeo che ha dato la sua approvazione, la EFSA (European Food Safety Authority), con sede a Parma, ci assicura che è tutto a posto, niente da temere; o, per meglio dire, così farebbe se ci tenesse a far trapelare la notizia. Si è invece preferito agire con la solita discrezione di sempre. Non sia mai che gli europei scoprano che la Authority pagata con le loro tasse per vegliare sulla loro salute se n’è infischiata totalmente dell’opinione dei cittadini [4], preferendo piuttosto andare a braccetto con le corporazioni. Non sia mai.
D’accordo, capiamo perché vi siete alzati, avete preso a pugni il muro e scassato qualche suppellettile intorno a voi. Reazione perfettamente comprensibile. Siete calmi adesso?
Bene, vi assicuriamo allora che esiste un modo un po’ più costruttivo per reagire. Per cominciare, ad ogni modo. Vedete il link lì sotto? Accomodatevi. Firmate. Inviate.
Pace.

https://secure.avaaz.org/it/eu_health_and_biodiversity/

Rinaldo Francesca, 29/03/10


[1] Vedere, per esempio Martin Hickman: New link between E-numbers and hyperactivity, The Independent, 06/09/07, disponibile su: http://www.independent.co.uk/life-style/health-and-families/health-news/new-link-between-enumbers-and-hyperactivity-401505.html

[2] Elisabeth Rosenthal, A Genetically Modified Potato, Not for Eating, Is Stirring Some Opposition in Europe, The New York Times, 24/07/07, disponibile su:
http://www.nytimes.com/2007/07/24/business/worldbusiness/24spuds.html?pagewanted=1&_r=2

[3] Steve Schifferes: New US-EU trade war looms, BBC News 02/12/02, reperibile su:
http://news.bbc.co.uk/1/hi/business/2534179.stm

[4] Il 58% degli europei continua a essere contrario alla coltura di OGM nel proprio paese. Vedere pp.65-6 di questo documento:

Tuesday 9 March 2010

È per il bene degli afghani: me lo ha detto il generale

di Rinaldo Francesca

Compunti ed emozionati come bimbi abbiamo letto l’intervista/scoop apparsa sul Corriere della Sera domenica scorsa. Ebbene sì, questa è la prima volta che il comandante della missione NATO/ISEF in Afghanistan parla con un giornale italiano, ci rivela trionfalmente l’intervistatore Davide Frattini. Come riuscire a reprimere un brivido di nervosismo nel cominciare a leggere quella che potrebbe essere un’informale pagella alle forze militari italiane? Speriamo di aver fatto una bella figura.
Macché, la suspense è intollerabile, passiamo direttamente alla conclusione: “Credo che gli italiani sarebbero orgogliosi dei loro soldati”, ci viene detto dall’uomo in persona.
Ecco, siamo già un po’ più sollevati.
Si chiama Stanley McChrystal l’autore della nuova strategia in Afghanistan, già celebrato per essere dietro al bombardamento che uccise Abu Musab al-Zarqawi, l’ennesimo “Numero Due di Al Qaida”. Qui si parla di quel “Numero Due di Al Qaida” che morì a Baqubah, Iraq, nel giugno 2006, per coloro che avessero ormai bisogno di un pannello con foto autoadesive, freccette e spilli colorati per riuscire a tenere dietro alla folta schiera di persone che di volta in volta hanno ricevuto dai media l’appellativo di “numero-due-di-al-Qaida”.
Veniamo dunque, con calma, al resto del pezzo sul Corriere.
Vero, vero: leggendo l’articolo alcuni tra voi potrebbero avere l’impressione di stare voyeuristicamente assistendo – più che a un’intervista – a un’abilissima performance di sesso orale, con il generalissimo McChrystal nei panni del beneficiario e il giornalista Frattini in quelli dell’esecutore; vi preghiamo però di non essere troppo crudeli: viviamo in tempi volatili e, dopotutto, dove sta oggi il sempre più sbiadito confine tra reporter e majorette?
Stanley McChrystal mantiene il fisico prosciugato da maratoneta”, ci informa Frattini, parlando dell’uomo responsabile di due attacchi aerei il mese scorso, uno nell’Helmand [1] e uno nell’Uruzgan [2], che sono costati la vita a 12 e a 27 civili, rispettosamente.
Sagomato nelle forze speciali [...] ha lo sguardo in allerta di chi non si distrae neppure quando dorme (poco, quattro ore a notte)”.
Con queste premesse, Àpoti vuole qui essere il primo ad avere il piacere di porre i nomi McChrystal e Napoleone nella stessa frase, un’usanza che, non dubitiamo, diventerà vieppiù frequente nei media.
Non disperiamo, il generale verrà a suo tempo grigliato con una domanda difficilina – chi avrà la vista acuta e pazienza di arrivare fino alla fine dell’articolo non mancherà di trovarla – ma procediamo con ordine.
La domanda rompighiaccio ha il sapore dell’incredulità: ma veramente, signor generale, le forze Nato resteranno in Afghanistan per un minimo di altri quattro anni? Perentoria è la risposta del signor generale:
Questa decisione dipende totalmente dalla leadership politica”, e più non dimandare.
Sono dunque i politici, e non il Pentagono? Perbacco, e noi che credevamo il Pentagono avesse fatto tutto il possibile per tenere la questione afghana fuori dal Congresso, frettoloso com’è di mettere le mani su altri 33 miliardi di dollari [3] per continuare l’occupazione! Adesso chi ha il coraggio di informare McChrystal che il senatore Dennis Kucinich (ve lo ricordate? Ex candidato alla Casa Bianca?) sta raccogliendo consensi per obbligare il Congresso a mettere la cosa in discussione, prima di tirare fuori il portafoglio... dei contribuenti [4]?
Dia una definizione di vittoria in Afghanistan”, procede Frattini; e viene quasi la tentazione di credere che si aspetti davvero una risposta differente da: “La vittoria, giovanotto, significa poter continuare l’occupazione ad libitum”. Perché – diciamolo pure – la prosecuzione di questa meravigliosa avventura sarebbe già di per sé un bene per gli afghani.
Scusate, abbiamo detto “afghani”? Pardon, intendevamo dire “appaltatori del Pentagono, compagnie di armamenti & affini”: i soliti nomi balzano in mente, BAE Systems o – che so io – Lockheed Martin, che solo l’anno scorso ha speso quasi dieci milioni di dollari in lobbying [5]. Senza voler fare torto, naturalmente, ad altri imprenditori medio-grandi, come i mercenari della Blackwater (scusate, ormai si chiamano appaltatori di sicurezza paramilitari della Xe, per usare il termine politicamente corretto e aggiornato), i quali non vedono l’ora di ottenere lucrativi contratti in Afghanistan per la somma di un miliardo di dollari [6].
La risposta di McChrystal è invece da manuale: “Quando il popolo afghano avrà la libertà di scegliere, quando avrà l’opportunità — a tutti i livelli, non solo poche persone — di plasmare il governo e la società che vuole”. Verrebbe quasi da ammirare il generale per le sue commuoventi parole, se non fosse che, solo poche righe più in giù nell’intervista, si lascerà scappare un imbarazzante “Adesso dobbiamo noi installare un governo”. Oops. Viva la sincerità.
Sì d’accordo, abbocca Frattini, ma “perché gli altri Paesi occidentali, tra loro l’Italia, dovrebbero continuare il loro impegno?
Giovanotto, non faccia il furbo con il generale; ci sembra quasi d’immaginare il paterno comandante sorridere pazientemente mentre spiega: “Il terrorismo transnazionale, come Al Qaeda, ha usato l’Afghanistan prima del 2001 e da allora mantiene una presenza”, il che è un capolavoro di risposta, ammettiamolo. Non vi sarà certo sfuggito che questo tipo di ragionamento prepara il terreno per legittimare futuri attacchi contro qualsiasi paese dove si trovino a soggiornare, anche di passaggio, eventuali attentatori – in primis il Pakistan, come sta in effetti succedendo da mesi.
D’altronde – a questo proposito - Barack Obama, già durante la sua campagna elettorale nel lontano agosto 2007, si fece sfuggire in pubblico la sua intenzione di bombardare del più e del meno anche territori pakistani se necessario, qualora (quando) fosse divenuto presidente [7]. Certo, due anni fa uno scenario del genere era anatema, a giudicare dai furibondi e scandalizzati commenti rilasciati a suo tempo dagli allora rivali di Obama, Joe Biden e Hillary Cinton.
Oggi è cronaca, e Biden, Clinton & Co, ormai parte di un’unica, armoniosa famiglia, approvano con entusiasmo.
Procedendo con l’intervista, “L’ammiraglio Mike Mullen, capo di Stato maggiore americano, chiede ad Hamid Karzai, presidente afghano, «passi concreti» contro la corruzione. Generale, quali iniziative vorrebbe vedere?
Non per voler rovinare a tutti i costi la festa, Frattini & McChrystal, ma ci sembra di ricordare che l’attuale governo di Hamid Karzai salì al potere nell’agosto del 2009 grazie a brogli elettorali, stando all’osservatore delle Nazioni Unite Peter Galbraith (il quale fu prontamente rimosso dall’incarico per averlo fatto notare) [8]. Tecnicamente dunque, non sarebbero da considerarsi un “passo concreto” le dimissioni? Sempre naturalmente che sia tuttora valido il principio secondo cui un candidato dovrebbe diventare presidente a condizione – che so io - di aver ricevuto la maggioranza dei voti, piuttosto che poter semplicemente esibire promettenti agganci con la Union Oil Company of California (Unocal Corporation) [9].
La risposta del generale è invece un po’ più sullo scioccante tono in stile la-corruzione-è-male-la-democrazia-è-bene, o qualcosa del genere. Per citare direttamente l’autore: “Azioni credibili contro la corruzione sono fondamentali, dai livelli più alti del governo giù fino a quelli locali, accompagnate dalla volontà di processare e punire i colpevoli”. Là!
Ma vi avevamo promesso una frecciata che avrebbe inchiodato McChrystal, no? Bene, grazie per averci seguiti fino a qui, ecco la ricompensa: “Nell’offensiva a Marjah sono stati uccisi 28 civili” incalza Frattini “e altri 27 sono morti nel raid contro un convoglio, il 22 febbraio, nella provincia di Uruzgan”.
L’hai fatta grossa Frattini: adesso hai fatto arrabbiare il generale. Fortunatamente McChrystal è diplomatico, e ti spiega che l’evitare di sterminare civili “nella guerra moderna è un obiettivo molto difficile da raggiungere, quando il tuo nemico prova a creare le condizioni perché ci siano gli errori”. Capito? È colpa degli afghani. E adesso vedi di rigare dritto.
Le poche domande seguenti sono infatti più consone e toccano quasi esclusivamente tattiche militari, dando così al generale l’opportunità di dire: “Non voglio rivelare dettagli”.
Se lo facessi, dovrei poi ucciderLa e farlo sembrare un incidente, Frattini.
Ma è la domanda conclusiva ad aggiudicarsi una ben meritata medaglia: “I Paesi occidentali sono pronti ad accettare negoziati con insorti con «le mani sporche di sangue»? Si parla di trattative con Gulbuddin Hekmatyar, un signore della guerra responsabile di numerosi attacchi contro le forze della coalizione”.
Via-via, Frattini, ci meravigli! Dovresti sapere che i vecchi amici non si dimenticano mai! E questo simpatico giovane, Gulbuddin Hekmatyar – il cui passatempo era gettare acido corrosivo sul volto delle donne vestite in maniera non conforme alla sua interpretazione coranica sull’abbigliamento, quando non era troppo occupato a incrementare la produzione di oppio minacciando con un fucile automatico gli agricoltori alle sue dipendenze – questo dinamico imprenditore rientra decisamente nella categoria cari-vecchi-amici. Come spiegare altrimenti le decine di milioni di dollari che la CIA mise generosamente nelle sue mani sul finire dei trendy Anni Ottanta [10]?
Il generale fortunatamente soprassiede, e ci ricorda che: “dev’essere prima di tutto una decisione afghana, con un coinvolgimento della comunità internazionale”.
Ahia, e ora chi si incarica di dare la brutta notizia al generale, e cioè che il 67% degli afghani vuole le truppe d’occupazione fuori dal suo paese? O che, per meglio dire, solo il 37% degli afghani è a favore delle truppe U.S./NATO/ISAF nella loro area, secondo un sondaggio condotto l’anno scorso da ABC/BBC/ARD [11]?
Pazienza; se non altro, quest’intervista ci ha regalato un frammento per cercare di capire quali siano i pattern mentali che regolano il funzionamento del cervello di un alto ufficiale del calibro di McChrystal. Come funziona la mente di un generale? Che cosa gli fa dire le cose che dice, per esempio sul fatto che “dev’essere prima di tutto una decisione afghana” e simili amenità?
Voi non trovate che quest’intervista sia utile per capire come la pensi l’uomo “che guida gli eserciti di 44 nazioni” sul popolo che afferma di voler aiutare?
No? Vi invitiamo allora a considerare la profonda citazione che funge da premessa all’intervista: “[...] quando hai a che fare con un cane, fermati un attimo, considera come la vede lui
Leggere per credere.
L’intervista è reperibile qui:
Rinaldo Francesca, 09/03/10

[1] Declan Walsh & Stephen Bates: Nato rockets kill 12 Afghan civilians, The Guardian, 14/02/10, disponibile su: http://www.guardian.co.uk/world/2010/feb/14/nato-rockets-kill-afghan-civilians
[2] Afghanistan condemns deadly Nato air strike in Uruzgan, disponibile su:
http://news.bbc.co.uk/1/hi/8528715.stm
[3] Anne Gerean & Anne Flaherty: War Cost: Obama Wants $33 Billion More For Afghanistan, Iraq, The Huffington Post, 01/03/10, disponibile su:
http://www.huffingtonpost.com/2010/01/13/war-cost-obama-wants-33-b_n_421229.html
[4] Robert Naiman: Kucinich Forces Congress to Debate Afghanistan, disponibile su:
http://www.informationclearinghouse.info/article24926.htm
[5] Disponibile su:
http://www.informedlobbying.com/blog/
[6] Adam Entous, Sue Pleming & Stacey Joyce: Key lawmaker seeks to block $1 billion Blackwater deal, News Daily, 04/03/10, disponibile su:
http://www.newsdaily.com/stories/tre6234qb-us-afghanistan-blackwater/
[7] Ewen MacAskill: Pakistan criticises Obama after warning on military strikes, The Guardian, 04/08/07, disponibile su:
http://www.guardian.co.uk/world/2007/aug/04/alqaida.pakistan
[8] Richard A. Oppel Jr. & Neil MacFarquhar: After Clash Over Afghan Election, U.N. Fires a Diplomat, The New York Times, 30/09/09
[9] Tom Turnipseed: A Creeping Collapse in Credibility at the White House:
From ENRON Entanglements to UNOCAL Bringing the Taliban to Texas and Controlling Afghanistan, disponibile su
http://www.counterpunch.org/tomenron.html
[10] John Pilger: What good friends left behind, The Guardian, 20/09/03, disponibile su:
http://www.guardian.co.uk/world/2003/sep/20/afghanistan.weekend7
[11] disponibile su:
http://abcnews.go.com/images/PollingUnit/1083a1Afghanistan2009.pdf