Wednesday 7 April 2010

Martin Kimani: Per i ruandesi, le scuse del papa devono essere intollerabili

Se gli abusi sessuali in Irlanda hanno portato alla contrizione papale, quanto disprezzo traspare nel silenzio del Vaticano sul suo ruolo nel genocidio.

Se siete cattolici irlandesi e siete stati vittime di abusi sessuali perpetrati da un prete, vi è stato recentemente letto un documento ufficiale dal Papa Benedetto XVI che dice: "Voi avete sofferto gravemente e io sono sinceramente dispiaciuto. So che nulla potrà cancellare il torto che avete subito. La vostra fiducia è stata tradita e la vostra dignità è stata violata".
Per tutti i cattolici praticanti in Ruanda, questa lettera dev'essere intollerabile, perché comunica loro quanto poco significhino per il Vaticano. Quindici anni fa decine di migliaia di cattolici furono fatti a pezzi all'interno di chiese. In alcuni casi preti e suore guidarono i massacri. In altri casi non fecero nulla mentre le atrocità avevano luogo. Questi non furono incidenti isolati. Nyamata, Ntarama, Nyarubuye, Cyahinda, Nyange, e Saint Famille furono solo alcune delle chiese che divennero teatro di massacri.
A voi, cattolici che siete sopravvissuti al genocidio in Ruanda, il Vaticano dice che quei preti, quei vescovi, quelle suore e quegli arcivecovi che pianificarono e uccisero non stavano seguendo ordini della chiesa. Ma la responsabilità morale cambia radicalmente se siete cattolici europei o americani. Ai preti irlandesi che molestarono i bambini, il papa dice questo: “Dovrete risponderne davanti a Dio onnipotente e di fronte a tribunali appositamente costituiti. Avete tradito la stima del popolo irlandese e portato vergogna e disonore sui vostri confratelli”.
Nessuna considerazione del genere è stata spesa nei confronti delle vittime in Ruanda. Alcuni tra le suore e i preti che furono condannati dai tribunali belga e dal Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda, rispettivamente, trovarono rifugio presso chiese cattoliche in Europa, nella loro fuga dalla giustizia. Uno di questi fu Padre Athanase Seromba, che guidò il massacro della parrocchia di Nyange e fu dal tribunale condannato a 15 anni in carcere. Nell'aprile del 1994, Seromba contribuì ad attirare nella sua chiesa 2000 uomini, donne e bambini disperati, che credevano sarebbero stati al sicuro. Ma il loro pastore si rivelò invece il loro carnefice.
Una sera Seromba entrò nella chiesa per portare via i calici della comunione e alcuni abiti clericali. Quando uno dei rifugiati lo pregò che venissero lasciate loro le ostie per l'Eucaristia, così che potessero almeno celebrare una messa – finale – il prete rifiutò e disse loro che quell'edificio non era più una chiesa. Un testimone al processo davanti al Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda ricordò un episodio che ci rivela la mentalità del prete.
Uno dei rifugiati chiese: “Padre, non può pregare per noi?” Seromba rispose: “Perché, è ancora vivo il dio dei Tutsis?”. Poco tempo dopo, ordinò che un bulldozer abbattesse i muri della chiesa sopra a coloro che si trovavano all'interno, dopodiché disse alle milizie di fare irruzione nell’edificio e sterminare i sopravvissuti. Al suo processo, Seromba disse: “Prete sono e prete rimango”. Ciò, a quanto pare, è la verità, visto che il Vaticano non ha mai ritirato le dichiarazioni che fece per difenderlo prima della sua condanna.
Nell’ultimo secolo, i vescovi cattolici si sono immischiati profondamente nelle politiche del Ruanda, con la piena consapevolezza del Vaticano. Prendete l'Arcivescovo Vincent Nsengiyumva. Fino al 1990 aveva servito come presidente nel comitato del partito al potere per quasi 15 anni, sostenendo il regime autoritario di Juvenal Habyarimana, che orchestrò l’omicidio di quasi un milione di persone. O l’arcivescovo André Perraudin, il più anziano rappresentante della chiesa romana nel Ruanda degli anni Cinquanta. Fu con la sua collusione e i suoi consigli che venne coniata l’odiosa ideologia razzista conosciuta come Hutu Power – spesso da preti e seminaristi in buoni rapporti con la chiesa. Uno di questi fu il primo presidente del Ruanda, Grégoire Kayibanda, segretario privato e protegé of Perraudin, il cui potere politico non aveva rivali.
Pertanto, il supporto per Hutu Power non fu né inconsapevole né ingenuo. Si trattò di una strategia per mantenere la potente posizione politica della chiesa in un Ruanda in via di decolonizzazione. La violenza degli anni Sessanta portò inesorabilmente al tentativo del 1994 di sterminare i Tutsis. Quelle furono le violente espressioni di una sfera politica dominata da pregiudizi secondo i quali gli Hutus e i Tutsis erano categorie razziali separate e antagoniste. Anche ciò fu un regalo dei missionari cattolici, dalle cui scuole e pulpiti per decenni vennero suonati i tamburi di false teorie razziali.
Questo atto di snobismo nei confronti delle vittime del genocidio in Ruanda arriva in un momento in cui la chiesa cattolica è sempre più popolata da credenti dalla pelle scura. È difficile non trarre l'evidente conclusione che le più alte gerarchie ecclesiastiche stanno disperatamente cercando di conservare un patrimonio razziale che sta rapidamente svanendo.
Forse è arrivato il momento che i cattolici obblighino i leader della loro chiesa a risolvere questo razzismo istituzionale che continua a sopravvivere, se la chiesa vuole davvero mettere in pratica le sue belle parole. Ciò che si esige è un riconoscimento di quelli che furono il potere politico e la responsabilità morale della chiesa, con tutte le implicazioni materiali e legali che ne conseguono.
Il silenzio del Vaticano significa disprezzo. La sua mancata autocritica sul proprio ruolo centrale nel genocidio ruandese può solo significare che è consapevole di non avere nulla da temere se nasconde la testa sotto la sabbia. Mentre sa che se ignora gli abusi sessuali di parrocchiani europei non sopravviverà i prossimi anni, può pure lasciare che quei corpi africani restino sepolti, deumanizzati e ignorati.
Questa è una buona strategia politica. E una posizione morale la cui duplicità e malvagità sono state testimoniate e documentate. Perché, a quanto sembra, molte persone, studiosi, governi e istituzioni dentro e fuori del Ruanda stanno scavando nelle loro responsabilità in quel genocidio. Il Vaticano si erge a eccezione, la sua posizione morale adesso ancora più bassa di quella del governo francese, con la sua perdurante amicizia con i génocidaires.

Martin Kimani, 29/03/10.
Articolo originale: For Rwandans, the pope's apology must be unbearable, reperibile su:
http://www.guardian.co.uk/commentisfree/belief/2010/mar/29/pope-catholics-rwanda-genocide-church

Una piccola nota: gli uomini ai vertici del Vaticano – ci sembra – non sarebbero i soli leader religiosi preoccupati di “conservare un patrimonio razziale che sta rapidamente svanendo”. A novembre dell’anno scorso, Jonathan H. Sacks, il Rabbino Capo di Impero Britannico e Commonwealth, ha fatto un discorso alla Camera dei Lords [1], nel quale deplorava lo stato “morente” dell’Europa. “L’Europa” diceva Sacks “è l’unico continente del mondo in decrescita demografica”. Lord Sacks ci rendeva inoltre noto che, a causa di valori superficiali ed egoisti, del consumismo, e dell’assortimento dei vari, obbligatori satana come darwinismo, relativismo morale, etc, etc, gli europei non fanno più figli e, come conseguenza, l’Europa “sta morendo”.
Non è questa la sede per investigare la validità della sua tesi; tuttavia, il grande afflusso annuale in Europa di immigrati provenienti da altri continenti non dovrebbe forse rassicurare Lord Sacks che la popolazione del nostro continente non corre alcun rischio di azzerarsi?
A meno che, come riteniamo, non sia la prospettiva di un’Europa non abbastanza bianca a terrorizzare veramente Lord Sacks.

Rinaldo Francesca, 07/04/10

[1] Europeans too selfish to have children, says Chief Rabbi, The Daily Telegraph, 05/11/09, reperibile su: