Thursday 20 June 2013

La mia risposta ai detrattori professionisti di Richard Falk

Cari Àp0ti, non disperate: il Vostro umile reporter non Vi ha abbandonati. Come ricorderà qualcuno tra i proverbiali quattro felini che seguono regolarmente questi nostri innocenti, sparpagliati pensieri, il sottoscritto ha preso l'abitudine di recarsi periodicamente al Consiglio dei Diritti Umani, presso la sede ONU di Ginevra, per quello che può servire, e contribuire al dibattito laddove possibile.
Il video che vedete qua sopra mostra il mio intervento del 10 giugno, nel contesto del Tema 7 - la situazione dei Diritti Umani nei Territori Palestinesi Occupati - in occasione della 23esima sessione del Consiglio. Il mio intervento voleva essere una risposta al consueto gruppo di diffamatori professionali del Relatore Speciale per la situazione in Palestina,
Professor Richard Falk, il quale aveva appena presentato il suo rapporto sulla deteriorante situazione in Cisgiordania e Gaza.
Dico "gruppo" perché, anche se ultimamente c'è stato un gran parlare di
quell'imbarazzante performance del direttore dell'ONG UN Watch Hillel Neuer (un ometto di cui già l'anno scorso si era parlato in queste pagine) - vuoi per via dell'adorabile e isterico comportamento di Monsieur Neuer, vuoi perché l'ometto in questione si era trovato involontariamente a fare pubblicità al libro dell'amico Gilad Atzmon: L'Errante Chi? - ci farebbe bene ricordare che altre sedicenti ONG per i Diritti Umani hanno, quello stesso giorno, fatto a turni a dare il meglio di sé per distrarre l'attenzione su quello che era il vero proposito del Tema 7 (ossia i Diritti Umani dei Palestinesi sotto l'occupazione) e trasformare la sessione in un attacco personale contro Richard Falk.
Vero, lo ammetto, mi sento piuttosto fiero di essere stato il primo ad aver immediatamente sparso la voce internazionalmente sull'oscena performance di Hillel Neuer (
nel video mi si può scorgere qualche fila dietro di lui: chiamatemi pure UN Watch Watch!); tuttavia, nel Dibattito Generale a cui ho partecipato, ho contato almeno altre tre cosiddette Organizzazzioni Non-Governative sostenere le fregnacce di UN Watch (questo è il link al video della sessione): l'Associazione Internazionale di Avvocati e Giuristi Ebrei (Capitolo 44), il Coordinamento delle Organizzazioni Ebraiche (Capitolo 46) e un non meglio identificato Istituto Touro per i Diritti Umani e l'Olocausto (Capitolo 47).
Per cui, vedete, Israele in realtà non ha affatto ritirato i suoi rappresentanti dal Consiglio dei Diritti Umani: sono presenti eccome. Senonché portano un badge differente.
Nel fare il mio discorso (rilasciato anche a nome di
Liberation, una ONG con cui collaboro da un po' di tempo), volevo semplicemente mettere le cose in chiaro, per quello che può valere: accusare l'istituzione del Tema 7 di essere "anti-Israele" non fa altro che mostrare quanto sia Israelo-centrica la mente del sayan medio: sempre impegnato a elaborare storie di persecuzioni perenni, non gli passa neanche per la testa che per una volta il fulcro della questione potrebbe, hai visto mai, non essere lui, ma piuttosto i nativi, diseredati palestinesi (ah già, quelli!).
Inutile dire che la parte migliore è stata ricevere un'email dal Professor Falk, nella quale definiva il mio intervento "un eccellente contributo al dibattito del Tema 7".
Ho intenzione di ritornare a settembre.
Pace.

Friday 31 May 2013

La polizia turca ha trovato del gas sarin dai terroristi di Al Nusrah


La mattina del 29 maggio, all'alba, la Direzione Generale di Sicurezza (Emniyet Genel Müdürlügü) ha condotto una retata a Adana, nella Turchia del sud, contro le cellule dell'organizzazione terrorista Jabhat Al Nusrah, punta di lancia dell'insurrezione in Siria.
Dopo aver sequestrato parecchi piani di attentati, le unità anti-terroriste della polizia turca hanno condotto perquisizioni in dodici indirizzi differenti e hanno istituito dei blocchi stradali in diversi punti d'accesso alla città.
La polizia turca ha trovato 4 kg di gas sarin.
Nel corso degli interrogatori, i terroristi avrebbero ammesso di aver cercato di far pervenire il gas sarin verso le zone di combattimento in Siria.
La polizia sta attualmente indagando sulle piste che hanno permesso ai terroristi di procurarsi quest'arma chimica.
L'informazione proviene dal giornale Zaman, un quotidiano turco pro-governo.

Link all'articolo originale di Bahar Kimyongür:

Monday 20 May 2013

Siria: condanne selettive

di Rinaldo Francesca
 
È disponibile un video a questo link.
 

Il 15 maggio, l'Assemblea Generale dell'ONU ha adottato una risoluzione che condanna la continua violenza in Siria. Il voto sulla risoluzione si è tenuto un giorno dopo che l'Alto Commissario per i Diritti Umani Navy Pillay aveva pubblicamente denunciato l'ultima atrocità commessa dalle forze ribelli anit-governo in Siria: un video circolato su internet mostrava un leader ribelle nell'atto di estrarre dal petto il cuore di un soldato e morderlo. Forse che il testo della risoluzione conteneva una qualche condanna a simili, innumerevoli atti commessi dai ribelli armati, come l'orripilante omicidio e decapitazione dello sceicco Hassan Seifeddin, imam di una moschea a nord di Aleppo, il 30 di marzo, il quale sceicco era stato trascinato da casa sua, filmato, umiliato e poi ucciso e decapitato - il che costituisce un crimine di guerra? O forse l'impiccagione di Mulham Masoud (10 anni) e suo padre Saeed, i cui corpi l'Esercito Libero Siriano ha poi infilato nel bagagliaio della loro macchina? O il rapimento dei vescovi cristiani, e guide spirituali della loro comunità, Paulos Yazigi e Youhana Ibrahim il 22 aprile?
No. Neanche una parola. Alcuni punti interessanti nei paragrafi di apertura identificano "gravi preoccupazioni alla minaccia da parte delle autorità siriane di usare armi chimiche o biologiche e ad accuse che punterebbero all'uso di tali armi". Interessanti perché, soltanto una settimana prima, il 6 di maggio, un membro della Commissione di Inchiesta sulla Siria, Carla del Ponte, aveva affermato che, secondo le indagini della Commissione, erano stati i ribelli a fare uso di gas nervino, e che non c'era alcuna indicazione che il governo siriano avesse usato armi chimiche.
Nella risoluzione, si è anche data importanza al "forte impegno verso la sovranità, indipendenza, unità e integrità territoriale della Repubblica Araba Siriana e ai principi delle Carta delle Nazioni Unite; ora, ricapitolando: la cosiddetta "comunità internazionale", sarebbe a dire, qualsiasi stato che non si metta in mezzo alle politiche e agli interessi internazionali degli USA, sta sostenendo quello che è di fatto un governo in esilio, il quale sta aspettando di prendere il potere in Siria, maldestramente battezzatao con la goffa etichetta "Coalizione Nazionale per le Forze Siriane Rivoluzionarie e di Opposizione", coalizione che fu approvata e in qualche modo designata come "la sola legittima rappresentante del popolo siriano" nel suo quarto meeting ministeriale tenutosi a Marrakech, Marocco. Una coalizione la cui leadership ha costantemente rifiutato qualsiasi possibile soluzione diplomatica. E un'opposizione armata che, a parte le atrocità già menzionate, sta catturando e tenendo in ostaggio interi territori in Siria, dando poi loro il termine eufemistico di "territori liberati". Ora, in che modo tutto questo costituirebbe un forte impegno verso la sovranità, indipendenza, unità e integrità territoriale della Repubblica Araba Siriana?
Come già detto, enfasi viene data nella risoluzione al "forte impegno verso i principi della Carta delle Nazioni Unite": quegli stessi principi che Israele ha violati effettuando due bombardamenti aerei sul territorio sovrano siriano, il 3 e il 5 maggio. Un'evidente violazione del principio di non-aggressione, sempre che le parole dell'articolo 2 della Carta dell'ONU abbiano ancora un qualche significato: "Tutti gli Stati Membri si asterranno, nelle loro relazioni internazionali, dalla minaccia o dall'uso della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi stato". Dunque, considerando che la risoluzione dell'Assemblea Generale "Condanna ogni forma di violenza, indipendentemente dalla provenienza", e che gli attacchi aerei hanno avuto luogo 3 giorni prima della stesure finale della risoluzione, e 10 giorni prima che fosse dibattuta all'Assamblea Generale, potreste pensare che ve ne sarebbe una qualche menzione nel testo.
E avreste torto. Neanche una parola.
Dunque, per riassumere, mentre le condanne sono esclusivamente riservate al regime siriano, non una parola viene spesa contro i folli omicidi che stanno terrorizzando la Siria nella loro guerra per rovesciare Bashar al-Assad, né contro le nazioni che continuano ad armarli e finanziarli – ufficialmente – almeno da agosto 2012. Anzi, due giorni dopo, il diplomatico americano ed esperto politico James Jeffrey, parlando dal Dipartimento di Stato USA, ha avuto questo da dire alla BBC: “[C'è la necessità] geo-strategica di terminare questa situazione, e l'unico modo di terminarla è di fare pressione su Assad: è talmente chiaro, e la mia speranza è che - alla fine - con la persuasione da parte di Erdogan e altri, il presidente passerà all'azione”. Quando gli è stato domandato in che modo sperava che il presidente passasse all'azione, ha candidamente risposto: "Beh, si potrebbero armare gli insorti".
Perfetto.

Tuesday 23 April 2013

Siria: crimini "scomodi"

di Pieragnela Zanzottera

da Sibialiria.org, 21 aprile 2013

Mentre l'Occidente si affanna a stabilire se armare ufficialmente le bande d'opposizione in Siria e quanto, sul terreno si continua a morire nel silenzio e indifferenza generale.
Il numero di morti innocenti cresce e in parallelo aumentano le crudeltà e le atrocità dei modi scelti per assassinarli.
E alcuni dei più eclatanti, chissà come mai, non sono stati ritenuti "degni" di venire denunciati sulla maggior parte dei nostri media.
Ad esempio, si è parlato del gravissimo attentato – sia in termini di vite umane (49 morti) che dal punto di vista simbolico (essendo avvenuto all'interno di una moschea) – del 21 marzo scorso, costato la vita, tra gli altri, allo sheikh ultranovantenne Mohammad Said Ramadan al-Bouti, uomo di cultura, di religione e di pace.
Eppure non si trattava né della prima violenza compiuta in un luogo sacro in questi mesi (basti ricordare sheikh Abdel Latif Al-Shami, torturato davanti alle videocamere e assassinato dopo essere stato rapito mentre si trovava in preghiera nella moschea di Aleppo insieme a una folla di fedeli all'inizio del mese di Ramadan) né tantomeno dell'unico caso di religioso assassinato in Siria (finora se ne contano almeno 13, 2 dei quali di fede cattolica, oltre ai numerosi rapiti o aggrediti).
Pochi giorni più tardi, il 29 marzo, una sorte simile è toccata all'imam della moschea di Al-Hassan, nella zona di Sheikh Maksoud ad Aleppo.
Sheikh Hassan Saif-Eddin, non solo è stato prelevato con la forza e malmenato (come testimoniato in questo video), ma dopo la morte il suo corpo è stato trascinato per le vie del quartiere e la sua testa appesa al minareto della moschea, a fare da monito per la popolazione.
Raccontano testimonianze locali, che miliziani del cosiddetto "libero esercito" avevano invaso le vie di Sheikh Maksoud (zona a maggioranza curda, ma abitata anche da alawiti) e avevano ordinato a dipendenti pubblici, alawiti e tutti i filogovernativi di lasciare immediatamente la zona; "in caso contrario, sapremo dove trovarvi", avevano minacciato dagli altoparlanti.
Uno di loro si è avvicinato al settantenne imam chiedendogli "chi è il tuo leader?" "Dio onnipotente", ha risposto l'imam; a quel punto l'armato ha replicato "il mio è sheikh Arour" e lo ha colpito e costretto a baciargli le scarpe, chiedendogli di dar loro enormi somme di denaro.
Da tempo, sembra che queste bande non si accontentino di assassinare, ma che vogliano ledere profondamente anche la dignità umana. Una sorte, questa, purtroppo simile a molte altre, oggi in Siria.
Come quanto accaduto il 13 aprile nella zona di Idleb: un elicottero militare stava sorvolando la zona di Marat al-Numa'an quando è stato abbattuto da un gruppo ribelle (quelli sempre descritti scarsamente armati con mezzi di fortuna, per intenderci!). Gli 8 tra ufficiali e militari a bordo sono stati immediatamente catturati, assassinati e decapitati (per giorni in rete è circolata l'immagine agghiacciante di uno di questi criminali fiero con in mano la testa del pilota posta sopra una griglia da campeggio).
Nei video dell'opposizione, ripresi anche dalla rete Orient Tv, si sostiene che l'elicottero trasportava "shabbiha nordcoreani" (che non vengono mai mostrati) e che è stato colpito perché intenzionato a bombardare la zona da tempo posta sotto assedio (anche se immediatamente dopo si precisa – come dimostrano anche le immagini – che era carico di viveri e pane). Più realistica sembra essere la versione diffusa da fonti filogovernative: ovvero che il veicolo è stato colpito mentre sorvolava una zona assediata con l'intenzione di far arrivare alla popolazione quanto necessario per la sopravvivenza.
Per aggiungere, poi, crimine a crimine, le bande hanno pensato di diffondere le immagini delle teste sulla graticola in alcune delle città e villaggi sotto il controllo dei "combattenti per la libertà" per creare ulteriore panico tra la popolazione.
Ma non sono solo religiosi e militari, come più volte ricordato, le vittime predestinate dei "pacifici rivoltosi".
Il 17 marzo le "brigate Farouk", una delle più note bande estremiste di Homs (gli stessi che per mesi avevano assediato il quartiere di Bab Amr), hanno diffuso un avviso per i cittadini di Homs: da quel momento i colpi della loro artiglieria sarebbero caduti sui quartieri abitati dagli alawiti (non che fossero una novità, dal momento che sono mesi che questi quartieri vengono colpiti, ma è la prima volta che si prendono la briga di "preallertarli").
In effetti, il giorno seguente le zone di al-Zahra e al-Arman (entrambe tradizionalmente abitate da minoranze cristiane e alavate filogovernative) sono state colpite da razzi lanciati da proprio queste bande: 3 morti e 5 feriti solo nel ristretto quartiere di al-Arman (tra cui anche un bambino di 10 anni e un giovane diciassattenne).
Il razzo, caduto a poca distanza dalla scuola elementare della zona residenziale densamente popolata, avrebbe potuto provocare una strage se fosse arrivato solo pochi minuti prima, nell'orario dell'uscita degli studenti. Commovente la reazione degli abitanti del quartiere che si sono stretti intorno alle famiglie colpite con la solidarietà innata dei siriani, tra genitori che non riuscivano a capacitarsi della morte dell'unico figlio e non sapevano come staccarsi dai suoi indumenti fatti a brandelli dall'esplosione e vicini smarriti dall'afflizione improvvisa arrivata a spezzare un giorno di apparente quotidianità.
Il 4 aprile gli abitanti di al-Arman sono stati nuovamente terrorizzati da una pioggia di colpi di mortaio caduti sulle abitazioni intorno a mezzogiorno. I residenti, disperati, sono fuggiti alla ricerca di rifugi di fortuna e le scuole hanno terminato in anticipo le lezioni.Tre civili sono rimasti uccisi, decine feriti e molti i danni materiali.
Poco distante da Homs, nel villaggio di Tal Kalakh, nei pressi del confine libanese, pochi giorni dopo, l'8 aprile, invece si è consumato un terribile massacro nel quartiere di al-Borj operanti sempre dalle bande jihadiste.
Qualche giorno prima, era stata organizzata una manifestazione con la bandiera siriana per chiedere soccorso: "Salva Tal Kalakh" era scritto su uno degli striscioni dagli abitanti che chiedevano l'allontanamento dei gruppi armati dalla loro città.
Sembra che le 19 vite spezzate siano stati vittima di una spedizione punitiva a causa delle posizioni favorevoli al governo siriano.
Tra le vittime, di cui molti donne e bambini (la vittima più giovane aveva solo 3 anni), otto donne e tre uomini sono stati assassinati a distanza ravvicinata.
E la carrellata di crimini agghiaccianti contro innocenti potrebbe proseguire a lungo.
Un degli ultimi, in ordine di tempo, è quello che si è consumato a Lattakia per mano dei "combattenti per la libertà".
Mercoledì 10 aprile, Saeed Masoud si era recato, come ogni giorno, a prendere suo figlio, Mulham Masoud, di 10 anni, a scuola, quando un gruppo armato ha fermato e rapito entrambi.
Il figlio è stato impiccato, mentre il padre è stato massacrato. Entrambi i corpi sono poi stati riposti nel bagagliaio dell'auto avvolti dalla bandiera del governatorato francese (quella scelta a simbolo dai criminali "rivoltosi").
Altri due innocenti che hanno pagato con la vita il loro mancato supporto alla "rivolta pacifica", preferendo il sostegno al legittimo governo siriano, nel silenzio e indifferenza generale.
Link all'articolo originale: http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1357

Monday 8 April 2013

Bahar Kimyongür: a Lille, Martine Aubry censura un dibattito sulla Siria‏

Le shabbiha (*) di Fabius e Hollande hanno colpito ancora: nuovo attentato alla libertà d'espressione di cui la “patria dei diritti umani” è ormai la campionessa.


Sabato scorso, 6 aprile, la sala comunale Philippe Noiret nel quartiere Wazemmes di Lille, avrebbe dovuto ospitare una conferenza sulla Siria, organizzata dalla Coordinazione Comunista e il Fronte di Sinistra, con lo scienziato franco-siriano Ayssar Midani – e il sottoscritto – come ospiti.
Qualche giorno prima, un oscuro gruppo che si proclamava “antifascisti senza patria o frontiera” ha lanciato un appello al sabotaggio della conferenza.
Nel loro lobbying a favore della censura, i sedicenti “antifa” ci accusano di scendere a patti con il diavolo, ovvero i regimi di Damasco e Tehran: in altre parole, i nemici principali d'Israele.
Visto il numero di dittature detestabili che sterminano popolazioni intere per consolidare il loro dominio – a cominciare dai “nostri” capi di stato – noi riteniamo che la scelta di prendersela esclusivamente con la Siria e con l'Iran non sia frutto del caso.
Per confondere la pista, gli pseudo-antifasciti non esitano a tuffarsi nella demagogia, accusando i partecipanti alla nostra conferenza di essere “dei PR a servizio delle dittature”, dei “rosso-bruni”e dei “nazbol”, contrazione di nazisti e bolscevichi. I martiri di Stalingrado e i più di venti milioni dei loro compatrioti apprezzeranno di essere amalgamati con i loro invasori e boia.
Alla fine, la campagna diffamatoria lanciata da questi provocatori senza né patria, né frontiera, né volto, né coraggio, né cervello ha conseguito il suo traguardo.
La signora Aubry, sindaco di Lille, ha in effetti probito la conferenza “per ragioni di sicurezza”.
Volendo assicurarsi che nessuna voce dissidente sulla Siria si esprimesse nelle sue sale, la “maccarthyana” Aubry ha persino fatto cambiare le serrature delle porte nella sala Philippe Noiret, sapendo che gli organizzatori dell'evento avevano precedentemente ricevuto un'autorizzazione e disponevano quindi delle chiavi.
Ma grazie al senso pratico di alcuni militanti, e alla generosità di un negoziante curdo, la nostra conferenza si è potuta finalmente tenere, in un ristorante di kebab alla periferia di Lille.
Malgrado le eccezionali condizioni d'organizzazione, circa 80 persone hanno potuto comunque riunirsi, informarsi e intervenire sulle alternative riguardo alla risoluzione del conflitto siriano.
Non era la prima volta che un dibattito aperto, critico e contraddittorio sulla Siria veniva censurato in questo modo dall'Inquisizione di matrice sionista.
Venerdì primo marzo 2013, gli amici svizzeri dei nostri indomiti “antifa”avevano manifestato contro la nostra conferenza sulla Siria a Ginevra sulla base di una grottesca diceria di collusione con l'estrema destra (vedere: http://www.silviacattori.net/article4287.html).
Non molto tempo fa eravamo accusati di essere talibani per aver denunciato la guerra in Afghanistan, agenti di Saddam per aver parlato contro la guerra in Iraq e “gheddafisti” per aver militato contro l'invasione della Libia.
Anche la minima simpatia che manifestiamo nei confronti della resistenza palestinese o libanese è tacciata di antisemitismo.
Al debutto di ogni campagna guerrafondaia, siamo sempre accusati di collusione con il nemico da gruppuscoli clandestini che se la giocano da ribelli libertari, ma i cui atti e parole servono indefinitiva solo a rafforzare la legge del piùforte.
Teniamo ancora una volta ad avvertire i nostri detrattori che le minacce non ci impediranno nédi denunciare le guerre che gli altri padroni impongono alla Siria, nédi militare per una risoluzione pacifica e politica del conflitto nel paese.
 

(*) Il termine shabbiha designa gli ausiliari dell'esercito siriano che combattono l'insurrezione anti-baathista. Il termine però sembra convenire sempre più agli ausiliari degli eserciti NATO che combattono contro i militanti anti-imperialisti.

Articolo originale: Lille : Martine Aubry censure un débat sur la Syrie
Bahar Kimyongür

Saturday 30 March 2013

Tutte le cose sbagliate nel discorso di Obama a Gerusalemme‏

di Richard Falk, 24 marzo 2013

È stato un discorso plasmato ad arte e conciliante, quello fatto dal leader più importante del mondo, nonché rappresentante di un governo che ha consistentemente difeso la causa di Israele negli ultimi decenni. Un discorso accolto entusiasticamente da un pubblico di giovani israeliani, e specialmente da ebrei di sinistra in tutto il mondo. Nonostante la sede, in realtà, il discorso tenuto da Obama a Gerusalemme il 21 marzo è servito principalmente per mettere le cose in chiaro a Washington. Obama adesso potrebbe avere maggiori possibilità di riuscita a rendere storico il suo secondo mandato presidenziale, malgrado un Congresso USA profondamente diviso e un'economia americana a pezzi, se considerata dal punto di vista delle difficoltà riscontrate dai lavoratori, piuttosto che da quello degli immensi profitti da parte delle corporazioni.
Per quanto riguarda il discorso stesso, non sono mancati alcuni fattori attenuanti. C'è per esempio stata l'ammissione che, oltre alle preoccuazioni israeliane collegate alla sicurezza, esistono anche il “diritto dei palestinesi all'autodeterminazione e il loro diritto alla giustizia che devono essere riconosciuti”. A questa affermazione è seguita la dichiarazione più forte di tutte: “... mettetevi nei panni [di un bambino palestinese]. Guardate il mondo attraverso i suoi occhi”. Considerare la realtà del conflitto attraverso occhi palestinesi significa affrontare l'orrida situazione di una prolungata occupazione, i progetti d'annessione degli insediamenti, un muro illegale di separazione, generazioni relegate alla miseria di campi profughi o all'esilio, cittadini di seconda classe in Israele, pulizia etnica a Gerusalemme e una miriade di regolamenti che rendono la vita dei palestinesi una narrativa di umiliazione e frustrazione. Certo, Obama non si è spinto fino a questo punto. Nessuna di queste realtà è stata specificata, ma piuttosto lasciata all'immaginazione del suo pubblico di giovani israeliani, ma perlomeno l'esortazione generale a vedere il conflitto attraverso gli occhi dell'altro ha indicato la strada al processo di empatia e riconciliazione.
Obama ha inoltre incoraggiato l'attivismo di cittadini israeliani in modo positivo, impostandolo sul concetto di due stati per due popoli. In modo un po' strano, ha però esortato a “mettere da parte, per il momento, questi piani e progetti” attraverso i quali queste soluzioni si potrebbero ottenere, e a “cominciare piuttosto a costruire la fiducia tra questi due popoli”. Non è forse un po' bizzarro come consiglio? Sembra abbastanza improbabile costruire la fiducia quando la pratica e le strutture dell' occupazione sono spietatamente crudeli, sfruttano i palestinesi e rendono giorno dopo giorno sempre più improbabile la formazione di uno stato palestinese indipendente. Tuttavia questo incoraggiamento assurdo è stato accompagnato da un appello più plausibile: “Posso assicurarvi questo: i leader politici non si prenderanno mai dei rischi, a meno che le loro popolazioni non ve li spingano. Dovete creare voi il cambiamento che volete vedere. Persone comuni possono ottenere cose straordinarie”. Si può trovare dell'autentica speranza in queste parole ispirate: ma a che serve, data la situazione presente?
A mio parere, il discorso presentava tre difetti fondamentali:
- Rivolgendosi esclusivamente ai giovani israeliani, senza fare un discorso parallelo a giovani di Ramallah, il ruolo degli Stati Uniti come “mediatore disonesto” è stato tristemente confermato; ha anche mandato il segnale che la Casa Bianca è più interessata a fare appelli a persone a Washington, piuttosto che ai palestinesi intrappolati in Cisgiordania o a Gaza, una conclusione rafforzata dall'atto di deporre una corona di fiori sulla tomba di Theodore Hertzl e il rifiuto di fare altrettanto sulla tomba di Yasir Arafat. Questa disparità nelle priorità è stata ulteriormente dimostrata quando Obama ha parlato ai bambini di Sderot, a sud d'Israele, che hanno “la stessa età delle mie figlie, e vanno a dormire la notte, nella paura che un razzo precipiti nella loro camera da letto solo per il fatto di essere chi sono, e di vivere dove vivono”. Fare un'affermazione del genere senza nemmeno menzionare la vita traumatica dei bambini dall'altro lato del confine, a Gaza, che vivono da anni in condizioni di embargo, incursioni violente e completa vulnerabilità anno dopo anno significa accettare completamente la parziale narrativa israeliana invece di ammettere la realtà dell'insicurezza provata dalle popolazioni di entrambi i lati.
- Parlare della possibilità di pace sulla base del consenso dei sue stati, idee ormai vecchie, senza menzionare gli ultimi sviluppi che hanno reso sempre più persone scettiche per quanto riguarda le intenzioni israeliane, significa dare credito a un approccio che ha sempre più del disturbo delirante, piuttosto che della soluzione al conflitto. Si metta questo insieme alla perversa esortazione di Obama ai leader del Medio Oriente, che sembra beatamente ignorante dell'insieme di circostanze attuali: “Adesso è il momento per i leader del mondo arabo di fare i necessari passi verso una normalizzazione delle loro relazioni con Israele”. Come può mai essere “adesso” il momento, quando soltanto pochi giorni prima Benjamin Netanyahu aveva annunciato la formazione del governo più di destra, più pro-insediamenti di tutta la storia d'Israele, selezionando un gabinetto profondamente dedicato all'espansione degli insediamenti e che rifiuta l'idea stessa di uno stato palestinese? Non bisognerebbe mai dimenticare che fu l'OLP ad annunciare nel 1988 di essere pronto a concludere una pace durature con Israele sulla base dei confini pre-1967. Nel fare questo, i palestinesi facevano delle enormi concessioni territoriali che non furono mai contraccambiate, ed effettivamente ripudiate attraverso continue costruzioni di insediamenti. Queste concessioni significavano accettare uno stato limitato al 22% del territorio della Palestina storica, meno ancora di ciò che l'ONU aveva proposto nel piano di partizione del 1947, contenuto nella Risoluzione dell'Assemblea Generale numero 181, che già allora sembrava grossolanamente ingiusta nei confronti dei palestinesi, e un piano messo sul piatto senza prendere in considerazione le necessità delle popolazioni residenti. Aspettarsi che i palestinesi accettino adesso ancora meno territorio di quello circondato dai confini del 1967, pur di arrivare a una soluzione al conflitto, sembra veramente irragionevole, e probabilmente non sostenibile, se l'Autorità Palestinese dovesse imprudentemente starci.
- Sposare la forumula dei due stati per due popoli significa condannare la minoranza palestinese in Israele a una cittadinanza permanente di cittadini di seconda classe, senza nemmeno una menzione alle difficoltà dal punto di vista dei Diritti Umani, in questa famosa Israele democratica che Obama va celebrando. Come ha fatto notare David Bromwuch in Mondo Weiss, Obama sposava una visione tribale di stato che sembra incompatibile con il concetto di comunità globale, e con nozioni laiche secondo le quali uno stato legittimo non dovrebbe mai essere esclusivista, né per religione, né per etnicità. Obama ha invece fatto di tutto per riaffermare l'ideale sionista di una patria-stato in cui tutti gli ebrei possano vivere in pieno il loro ebraismo: “Israele è radicata non solo nella storia e nella tradizione, ma anche in un'idea semplice e profonda: l'idea che un popolo possa essere libero in una terra tutta sua”. E in questa insita ironia, nessuna menzione è stata fatta alla mancanza del diritto di ritorno dei palestinesi, persino di quelli che furono costretti ad abbandonare le loro case e I loro villaggi che erano stati la loro residenza per innumerevoli generazioni.
Un approccio così retrogrado all'identità e all'idea di stato è stato implicitamente anche attribuito ai palestinesi, anch'esso affermato come un diritto minore. Ma si tratta di una falsa simmetria veramente ingannevole. I palesinesi non hanno un'ideologia etnico-religiosa che sia paragonabile al Sionismo. I loro sforzi sono concentrati sul recupero dei loro diritti secondo il diritto internazionale nelle loro terre tradizionali di residenza e, soprattutto, all'esercizio del loro inalienabile diritto all'autodeterminazione in modo da respingere certe affermazioni più ampie di espansione da parte dei coloni, che sono sempre state così grandiose parti integranti dell'ideale di Heretz Israel (Pan-Israele), e che sono messe in pratica dal governo di Netanyahu. E che dire del 20% della popolazione d'Israele, che vive assoggettato a un regime legale che lo discrimina e che, quasi per definizione, lo relega allo stato di cittadino di seconda classe? Non solo, il discorso di Obama è stato un affronto anche per quei molti israeliani post-sionisti laici che non accettano l'idea di vivere in uno stato ultra-nazionalista basato su premesse religiose.
A mio parere, ci sono due conclusioni che si possono trarre. (1) Fintanto che la retorica del “vedere la realtà della situazione attraverso gli occhi dei palestinesi” non è accompagnato da specifiche considerazioni, ci sarà sempre l'erronea impressione che entrambe le parti detengano ugualmente le chiavi per la pace, e che entrambe siano da incolpare per non avere la volontà di usarle. (2) Quella di incoraggiare a riesumare le negoziazioni è una distrazione crudele quando a Israle chiaramente manca la volontà politica di stabilire uno stato palestinese sovrano e indipendente nei confini del 1967 e in circostanze in cui la Cisgiordania è stata alterata dalla continua espansione degli insediamenti, la costruzione di strade solo per coloni, il muro di separazione e tutti I segnali che indicano che altre dosi di questa stessa medicina siano in arrivo. A peggiorare ulteriormente la situazione, Israele sta intraprendendo tutti i passi necessari per assicurarsi che Gerusalemme non diventi mai la capitale di qualunque entità che dovesse mai emergere, il che è un serio affronto non solo per arabi e palestinesi, ma per 1,4 milioni di musulmani in tutto il mondo.
In retrospettiva, ancora peggio del discorso, è stata la visita stessa. Obama non avrebbe mai dovuto intraprendere una simile visita senza impostarla sulla volontà di trattare la realtà palestinese con almeno la stessa dignità di quella israeliana, e senza una qualche indicazione di come immaginare una giusta pace basata su due stati per due popopli, alla luce dell'oltraggiosa e continua espansione d'Israele sul territorio palestinese occupato che dà ogni segnale di voler rimanere permanente, per non parlare della non-rappresentanza e punizione collettiva della popolazione di un milione e mezzo di persone a Gaza. Obama non ha nemmeno menzionato l'ondata di scioperi della fame tra I prigionieri palestinesi, o la misura in cui i palestinesi abbiano modificato le loro tattiche di resistenza, abbandonando la lotta armata. È perverso riempire di lodi l'occupante oppressivo, ingnorare le tattiche non-violente della resistenza palestinese e il crescente livello di solidarietà globale con la causa palestinese, per poi fare ipocriti appelli a entrambi i popoli, incoraggiandoli al progresso verso la pace mediante la costruzione di una reciproca fiducia. Su che pianeta vive Obama?
Link all'articolo originale:

Thursday 7 March 2013

Gilad Atzmon: tour italiano a maggio

Ecco le date del tour italiano di Gilad Atzmon. Vi invitiamo a visitare regolarmente questa pagina per aggiornamenti.

06/05/13: Trieste - bookstore/cafe Knulp, via madonna del mare 7/a: presentazione del libro L'errante Chi? prima del concerto (duo con il pianista Angelo Comisso) - ENTRATA LIBERA

07/05/13: Venezia - Università Ca' Foscari, Teatro ai Frari; presentazione del libro L'errante Chi? alle 16:00 con il professor Luigi Vero Tarca; concerto a seguire (con il pianista Angelo Comisso) - ENTRATA LIBERA

08/05/13: Chiavari - Modà-Cafè, via Rivarolo 44 (Centro Storico): trio con Max Rolff & Enzo Zirilli - Clicca qui per maggiori informazioni

10/05/13: Torino - Folk Club, trio con Max Rolff & Enzo Zirilli
Prevendita biglietti (a breve) sul sito Maison Musique; tel. +39 011 95.61.782 - Fax +39 011 95.54.546. E-mail: info@maisonmusique.it

11/05/13: Genova - presentazione L'errante Chi? nel pomeriggio, alla libreria Books in the Casba, vico del fieno 40r. Concerto al Count Basie, vico Tana, 20r: trio con Max Rolff & Enzo Zirilli - Clicca qui per maggiori informazioni

Friday 1 February 2013

Il 'Chi?' Errante - parte 7

Eccovi la settima e ultima parte di un'intervista che ho fatto all'amico, musicista, pensatore e attivista Gilad Atzmon a settembre di due anni fa.


A breve – tempo permettendo – una versione sottotitolata

Monday 21 January 2013

Vediamola in un contesto più ampio: è un ordine di Madame‏

Tutti sull'attenti, cari Àp0ti, poiché la Signora ha parlato e, a quanto sembra, oggi non ha la pazienza di stare ad aspettare quei perditempo che si ostinano a soppesare le notizie o fare qualche ricerchina prima di ingozzare in toto gli slogan del momento. Nossignore, quello che conta è che l'ignobile atto di prendere in ostaggio centinaia di lavoratori nell'impianto per l'estrazione di gas naturale In Amenas in Algeria è stato perpetrato da uomini malvagi, una cellula dell'Impero del Male noto come Al-Qaida in the Islamic Maghreb – o AQIM, per quei telespettatori che hanno qualche difficoltà a ricordare i paroloni – e questo è tutto ciò che ci occorre conoscere. Forse che non ci basta sapere che tra le vittime ci sono cittadini USA-europei, e quindi importanti per definizione, non certo come quelle morti di civili africani – pertanto insignificanti – che i bombardamenti dei nostri paladini NATO hanno provocato durante le prime azioni in Mali?
Smettiamola di affaticarci la testolina con cose che non capiamo e rivolgiamo piuttosto un orecchio di cieca fiducia ai mainstream media, sempre pronti a venire in nostro aiuto per semplificarci la vita e dirigere la nostra attenzione sui punti più rilevanti. Per il nostro bene, eccoli esposti in una succinta lista:
 
1– Questo atto è stato rivendicato dal perfido Mokhtar Belmokhtar: si tratta naturalmente del leader di un gruppo affiliato ad Al-Qaida, il cui nome – si sa – è una garanzia.
 
2– Il pericolo del terrorismo islamico è sempre più reale in quella regione (obbligatoriamente definita come “volatile”) e occorre dunque convenire che i sacrosanti sforzi della NATO di debellare questa terribile minaccia (che – ça va sans dire – è più vicina all'Europa di quanto non si creda) vanno applauditi e appoggiati.
 
3– Tutt'al più si può dire che le forze armate algerine siano state un po' birichine: come si permettono di procedere all'azione militare per liberare gli ostaggi senza prima attendere il permesso dell'Occidente, sapendo benissimo che tra il personale dell'impianto c'erano cittadini del nostro Mondo Libero?
 
Non preoccupiamoci più di tanto del punto No.3 per il momento: tralasciamo quindi il fatto che la Francia non si era certo consultata con la sua ex-colonia prima di passare all'azione militare in Mali, pur sapendo benissimo che questo bel bagno di sangue si sarebbe inevitabilmente riversato in Algeria di lì a poco. E d'altronde questo episodio si è già rivelato un ottimo pretesto per taluni costernati portavoce di varie organizzazioni non-governative per ricordare al mondo, en passant, che “Le informazioni [dall'Algeria] ci arrivano con il contagocce perché, ricordatevi, l'Algeria è uno stato militare, sapete […] e c'è una sua riluttanza a condividere informazioni con la comunità internazionale”, per concludere – a beneficio dei duri d'orecchie – che “Tutto è cominciato [in Algeria] con un partito all'opposizione che chiedeva più libertà, più diritti […] e gli algerini hanno risposto in modo rapido e brutale a questa opposizione”.
Questo lamento si unisce quindi alle profezie di quegli analisti ed esperti che, già nell'agosto 2011, gongolavano di gioia alla prospettiva che anche all'Algeria venisse inflitta una bella primavera araba, preferibilmente con una pioggia di armi da parte dei paesi occidentali a beneficio degli eroici-ribelli-amanti-della-democrazia, etc etc...
In altre parole, non preoccupiamoci adesso per l'Algeria: verrà presto il momento di una bella rivoluzione colorata anche laggiù, come siamo certi i discreti servizi occidentali preparano già da tempo.
No, concentriamoci piuttosto sugli altri due punti: i media dimenticano, con leggendaria non-chalance, di menzionare il fatto che questo perfido Mokhtar Belmokhtar - Khaled Abu al-Abbas per l'anagrafe, e noto anche come Mr. Marlboro – già nel novembre 2011, raccontava tutto compiaciuto in un'intervista con ABC News di come avesse beneficiato enormemente di grosse quantità di armi prelevate dall'arsenale di Muammar Gheddafi e consegnategli da non meglio identificati individui. Ohibò, chi mai? Che si fosse trattato della fatina buona dei lanciarazzi RPG?
Beh, forse il periodo storico di quel novembre 2011 può essere d'aiuto per capirci un po' di più.
Varrebbe la pena infatti ricordare (ma tu va' a sapere come mai i media sembrano essersene dimenticati) che il novembre 2011, a poco più di un mese alla morte di Gheddafi, vedeva il solerte e vittorioso comandante del Consiglio Militare di Tripoli, Abdelhakim Belhadj, recarsi in Siria e in Turchia e impegnarsi a procurare armi, addestramento e combattenti al cosiddetto Esercito Libero Siriano, allo scopo – presumibilmente – di creare dieci, cento Libie.
Ora, soffermandosi un po' su questo grazioso individuo, Abdelhakim Belhadj, al quale la NATO aveva generosamente offerto sostegno perché, sapete, combatteva per la libertà, la democrazia e tutta quella bella roba là, potrebbe essere utile ricordare che questo signore era l'emiro del Gruppo dei Combattenti Islamici Libici al tempo della sua fusione con Al-Qaida in Maghbreb nel 2007 – un connubio che era stato annunciato dal celebre egiziano inventore della Jihad Islamica, Ayman al-Zawahiri in persona – e riportato in un rapporto pubblicato dal centro di studi militari USA Combating Terrorism Center at West Point (p. 9). Del resto non c'era bisogno di una fusione ufficiale con Al-Qaida per assegnare al Gruppo dei Combattenti Islamici Libici l'etichetta di terroristi, visto che si era già provveduto a farlo nel lontano 2004, nella lista del Consiglio di Sicurezza ONU, del Dipartimento di Stato USA e dell'Home Office britannico (p.5). Lo stesso Belhadj, nel suo piccolo, è tuttora sospettato di essere coinvolto nell'attentato a Madrid del 2004.
Ora, siccome i media sanno che sarebbe un po' troppo complicato dover spiegare che uno dei nostri preferiti paladini per la libertà, appoggiato dalla coalizione NATO durante la guerra civile in Libia, avesse un curriculum di cotanto rispetto e che, mentre elargiva generosamente ai combattenti siriani armi sottratte all'arsenale di Gheddafi, non sia da escludere che ne abbia fatte arrivare anche al collega Mokhtar Belmokhtar, hanno preferito glissare elegantemente su tutti questi dettagli. Non si vorrà mica contraddire il canuto senatore John Mc Cain, il quale garantiva a suo tempo che i buoni combattenti di Benghazi e dintorni non erano affatto terroristi, ma patrioti che combattevano per il loro paese, e che avevano bisogno di tutto il nostro appoggio, etc etc? La prova schiacciante che non si trattasse di terroristi, naturalmente, era che glielo avevano assicurato personalmente loro. Visto? Nulla di cui preoccuparsi.
Sicché, quando l'adorabile Hillary Clinton ci ricorda che quest'ultima azione è un atto di terrorismo, procedendo poi a spiegarci che è tale in quanto perpetrata da terroristi (a beneficio di quanti fossero nell'erronea opinione che gli autori della recente crisi degli ostaggi in Algeria fossero dei gelatai), ricordiamolo, è bene interiorizzare le sue sagge parole e “vedere la situazione in un contesto più ampio”, come dice Madame in persona.
Senza esagerare però, OK?