Saturday 30 March 2013

Tutte le cose sbagliate nel discorso di Obama a Gerusalemme‏

di Richard Falk, 24 marzo 2013

È stato un discorso plasmato ad arte e conciliante, quello fatto dal leader più importante del mondo, nonché rappresentante di un governo che ha consistentemente difeso la causa di Israele negli ultimi decenni. Un discorso accolto entusiasticamente da un pubblico di giovani israeliani, e specialmente da ebrei di sinistra in tutto il mondo. Nonostante la sede, in realtà, il discorso tenuto da Obama a Gerusalemme il 21 marzo è servito principalmente per mettere le cose in chiaro a Washington. Obama adesso potrebbe avere maggiori possibilità di riuscita a rendere storico il suo secondo mandato presidenziale, malgrado un Congresso USA profondamente diviso e un'economia americana a pezzi, se considerata dal punto di vista delle difficoltà riscontrate dai lavoratori, piuttosto che da quello degli immensi profitti da parte delle corporazioni.
Per quanto riguarda il discorso stesso, non sono mancati alcuni fattori attenuanti. C'è per esempio stata l'ammissione che, oltre alle preoccuazioni israeliane collegate alla sicurezza, esistono anche il “diritto dei palestinesi all'autodeterminazione e il loro diritto alla giustizia che devono essere riconosciuti”. A questa affermazione è seguita la dichiarazione più forte di tutte: “... mettetevi nei panni [di un bambino palestinese]. Guardate il mondo attraverso i suoi occhi”. Considerare la realtà del conflitto attraverso occhi palestinesi significa affrontare l'orrida situazione di una prolungata occupazione, i progetti d'annessione degli insediamenti, un muro illegale di separazione, generazioni relegate alla miseria di campi profughi o all'esilio, cittadini di seconda classe in Israele, pulizia etnica a Gerusalemme e una miriade di regolamenti che rendono la vita dei palestinesi una narrativa di umiliazione e frustrazione. Certo, Obama non si è spinto fino a questo punto. Nessuna di queste realtà è stata specificata, ma piuttosto lasciata all'immaginazione del suo pubblico di giovani israeliani, ma perlomeno l'esortazione generale a vedere il conflitto attraverso gli occhi dell'altro ha indicato la strada al processo di empatia e riconciliazione.
Obama ha inoltre incoraggiato l'attivismo di cittadini israeliani in modo positivo, impostandolo sul concetto di due stati per due popoli. In modo un po' strano, ha però esortato a “mettere da parte, per il momento, questi piani e progetti” attraverso i quali queste soluzioni si potrebbero ottenere, e a “cominciare piuttosto a costruire la fiducia tra questi due popoli”. Non è forse un po' bizzarro come consiglio? Sembra abbastanza improbabile costruire la fiducia quando la pratica e le strutture dell' occupazione sono spietatamente crudeli, sfruttano i palestinesi e rendono giorno dopo giorno sempre più improbabile la formazione di uno stato palestinese indipendente. Tuttavia questo incoraggiamento assurdo è stato accompagnato da un appello più plausibile: “Posso assicurarvi questo: i leader politici non si prenderanno mai dei rischi, a meno che le loro popolazioni non ve li spingano. Dovete creare voi il cambiamento che volete vedere. Persone comuni possono ottenere cose straordinarie”. Si può trovare dell'autentica speranza in queste parole ispirate: ma a che serve, data la situazione presente?
A mio parere, il discorso presentava tre difetti fondamentali:
- Rivolgendosi esclusivamente ai giovani israeliani, senza fare un discorso parallelo a giovani di Ramallah, il ruolo degli Stati Uniti come “mediatore disonesto” è stato tristemente confermato; ha anche mandato il segnale che la Casa Bianca è più interessata a fare appelli a persone a Washington, piuttosto che ai palestinesi intrappolati in Cisgiordania o a Gaza, una conclusione rafforzata dall'atto di deporre una corona di fiori sulla tomba di Theodore Hertzl e il rifiuto di fare altrettanto sulla tomba di Yasir Arafat. Questa disparità nelle priorità è stata ulteriormente dimostrata quando Obama ha parlato ai bambini di Sderot, a sud d'Israele, che hanno “la stessa età delle mie figlie, e vanno a dormire la notte, nella paura che un razzo precipiti nella loro camera da letto solo per il fatto di essere chi sono, e di vivere dove vivono”. Fare un'affermazione del genere senza nemmeno menzionare la vita traumatica dei bambini dall'altro lato del confine, a Gaza, che vivono da anni in condizioni di embargo, incursioni violente e completa vulnerabilità anno dopo anno significa accettare completamente la parziale narrativa israeliana invece di ammettere la realtà dell'insicurezza provata dalle popolazioni di entrambi i lati.
- Parlare della possibilità di pace sulla base del consenso dei sue stati, idee ormai vecchie, senza menzionare gli ultimi sviluppi che hanno reso sempre più persone scettiche per quanto riguarda le intenzioni israeliane, significa dare credito a un approccio che ha sempre più del disturbo delirante, piuttosto che della soluzione al conflitto. Si metta questo insieme alla perversa esortazione di Obama ai leader del Medio Oriente, che sembra beatamente ignorante dell'insieme di circostanze attuali: “Adesso è il momento per i leader del mondo arabo di fare i necessari passi verso una normalizzazione delle loro relazioni con Israele”. Come può mai essere “adesso” il momento, quando soltanto pochi giorni prima Benjamin Netanyahu aveva annunciato la formazione del governo più di destra, più pro-insediamenti di tutta la storia d'Israele, selezionando un gabinetto profondamente dedicato all'espansione degli insediamenti e che rifiuta l'idea stessa di uno stato palestinese? Non bisognerebbe mai dimenticare che fu l'OLP ad annunciare nel 1988 di essere pronto a concludere una pace durature con Israele sulla base dei confini pre-1967. Nel fare questo, i palestinesi facevano delle enormi concessioni territoriali che non furono mai contraccambiate, ed effettivamente ripudiate attraverso continue costruzioni di insediamenti. Queste concessioni significavano accettare uno stato limitato al 22% del territorio della Palestina storica, meno ancora di ciò che l'ONU aveva proposto nel piano di partizione del 1947, contenuto nella Risoluzione dell'Assemblea Generale numero 181, che già allora sembrava grossolanamente ingiusta nei confronti dei palestinesi, e un piano messo sul piatto senza prendere in considerazione le necessità delle popolazioni residenti. Aspettarsi che i palestinesi accettino adesso ancora meno territorio di quello circondato dai confini del 1967, pur di arrivare a una soluzione al conflitto, sembra veramente irragionevole, e probabilmente non sostenibile, se l'Autorità Palestinese dovesse imprudentemente starci.
- Sposare la forumula dei due stati per due popoli significa condannare la minoranza palestinese in Israele a una cittadinanza permanente di cittadini di seconda classe, senza nemmeno una menzione alle difficoltà dal punto di vista dei Diritti Umani, in questa famosa Israele democratica che Obama va celebrando. Come ha fatto notare David Bromwuch in Mondo Weiss, Obama sposava una visione tribale di stato che sembra incompatibile con il concetto di comunità globale, e con nozioni laiche secondo le quali uno stato legittimo non dovrebbe mai essere esclusivista, né per religione, né per etnicità. Obama ha invece fatto di tutto per riaffermare l'ideale sionista di una patria-stato in cui tutti gli ebrei possano vivere in pieno il loro ebraismo: “Israele è radicata non solo nella storia e nella tradizione, ma anche in un'idea semplice e profonda: l'idea che un popolo possa essere libero in una terra tutta sua”. E in questa insita ironia, nessuna menzione è stata fatta alla mancanza del diritto di ritorno dei palestinesi, persino di quelli che furono costretti ad abbandonare le loro case e I loro villaggi che erano stati la loro residenza per innumerevoli generazioni.
Un approccio così retrogrado all'identità e all'idea di stato è stato implicitamente anche attribuito ai palestinesi, anch'esso affermato come un diritto minore. Ma si tratta di una falsa simmetria veramente ingannevole. I palesinesi non hanno un'ideologia etnico-religiosa che sia paragonabile al Sionismo. I loro sforzi sono concentrati sul recupero dei loro diritti secondo il diritto internazionale nelle loro terre tradizionali di residenza e, soprattutto, all'esercizio del loro inalienabile diritto all'autodeterminazione in modo da respingere certe affermazioni più ampie di espansione da parte dei coloni, che sono sempre state così grandiose parti integranti dell'ideale di Heretz Israel (Pan-Israele), e che sono messe in pratica dal governo di Netanyahu. E che dire del 20% della popolazione d'Israele, che vive assoggettato a un regime legale che lo discrimina e che, quasi per definizione, lo relega allo stato di cittadino di seconda classe? Non solo, il discorso di Obama è stato un affronto anche per quei molti israeliani post-sionisti laici che non accettano l'idea di vivere in uno stato ultra-nazionalista basato su premesse religiose.
A mio parere, ci sono due conclusioni che si possono trarre. (1) Fintanto che la retorica del “vedere la realtà della situazione attraverso gli occhi dei palestinesi” non è accompagnato da specifiche considerazioni, ci sarà sempre l'erronea impressione che entrambe le parti detengano ugualmente le chiavi per la pace, e che entrambe siano da incolpare per non avere la volontà di usarle. (2) Quella di incoraggiare a riesumare le negoziazioni è una distrazione crudele quando a Israle chiaramente manca la volontà politica di stabilire uno stato palestinese sovrano e indipendente nei confini del 1967 e in circostanze in cui la Cisgiordania è stata alterata dalla continua espansione degli insediamenti, la costruzione di strade solo per coloni, il muro di separazione e tutti I segnali che indicano che altre dosi di questa stessa medicina siano in arrivo. A peggiorare ulteriormente la situazione, Israele sta intraprendendo tutti i passi necessari per assicurarsi che Gerusalemme non diventi mai la capitale di qualunque entità che dovesse mai emergere, il che è un serio affronto non solo per arabi e palestinesi, ma per 1,4 milioni di musulmani in tutto il mondo.
In retrospettiva, ancora peggio del discorso, è stata la visita stessa. Obama non avrebbe mai dovuto intraprendere una simile visita senza impostarla sulla volontà di trattare la realtà palestinese con almeno la stessa dignità di quella israeliana, e senza una qualche indicazione di come immaginare una giusta pace basata su due stati per due popopli, alla luce dell'oltraggiosa e continua espansione d'Israele sul territorio palestinese occupato che dà ogni segnale di voler rimanere permanente, per non parlare della non-rappresentanza e punizione collettiva della popolazione di un milione e mezzo di persone a Gaza. Obama non ha nemmeno menzionato l'ondata di scioperi della fame tra I prigionieri palestinesi, o la misura in cui i palestinesi abbiano modificato le loro tattiche di resistenza, abbandonando la lotta armata. È perverso riempire di lodi l'occupante oppressivo, ingnorare le tattiche non-violente della resistenza palestinese e il crescente livello di solidarietà globale con la causa palestinese, per poi fare ipocriti appelli a entrambi i popoli, incoraggiandoli al progresso verso la pace mediante la costruzione di una reciproca fiducia. Su che pianeta vive Obama?
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Thursday 7 March 2013

Gilad Atzmon: tour italiano a maggio

Ecco le date del tour italiano di Gilad Atzmon. Vi invitiamo a visitare regolarmente questa pagina per aggiornamenti.

06/05/13: Trieste - bookstore/cafe Knulp, via madonna del mare 7/a: presentazione del libro L'errante Chi? prima del concerto (duo con il pianista Angelo Comisso) - ENTRATA LIBERA

07/05/13: Venezia - Università Ca' Foscari, Teatro ai Frari; presentazione del libro L'errante Chi? alle 16:00 con il professor Luigi Vero Tarca; concerto a seguire (con il pianista Angelo Comisso) - ENTRATA LIBERA

08/05/13: Chiavari - Modà-Cafè, via Rivarolo 44 (Centro Storico): trio con Max Rolff & Enzo Zirilli - Clicca qui per maggiori informazioni

10/05/13: Torino - Folk Club, trio con Max Rolff & Enzo Zirilli
Prevendita biglietti (a breve) sul sito Maison Musique; tel. +39 011 95.61.782 - Fax +39 011 95.54.546. E-mail: info@maisonmusique.it

11/05/13: Genova - presentazione L'errante Chi? nel pomeriggio, alla libreria Books in the Casba, vico del fieno 40r. Concerto al Count Basie, vico Tana, 20r: trio con Max Rolff & Enzo Zirilli - Clicca qui per maggiori informazioni