¡Abre los ojos! Insomma, “Apri Gli Occhi”, recita il titolo di quel film di Alejandro Amenabár: un’etichetta che – diciamo la verità – è preferibile a quella che fu affibiata al suo clone americano Vanilla Sky, realizzato quattro anni dopo da Cameron Crowe per la modica somma di qualche triliardo di dollari.
Il problema, caro Alejandro, è che talvolta aprire gli occhi può farci correre il rischio di imparare qualcosa e, non sia mai, regalarci dei sonni agitati. Per questo è importante che ci siano sempre persone disposte a vigilare assiduamente sul nostro sonno, particolarmente in Italia. Ragion per cui il tuo nuovo film Agorà probabilmente non verrà proiettato nelle sale cinematografiche italiane. Torniamo pure a dormire.
Sì, è vero, ne esiste una versione in lingua originale disponibile sul caro vecchio freemediatv.com, ma si tratta di un’orrenda copia filmata in un cinema, che propone solamente quelle sei o sette principali scene, spiattellate e ripetute in ordine sparso per la durata di due ore (qui si parla per esperienza: ce ne siamo inflitti personalmente una visione per evitarvi di sprecare due ore della vostra vita).
Allora, Free Media TV, ce lo dite voi come possiamo valutare di persona quanto offensiva – o innocua - possa essere l’ultima fatica di Amenabár con questi pochi elementi a nostra disposizione? D’accordo, ci è stato detto che Agorà è ambientato ad Alessandria d’Egitto agli albori del V secolo; d’accordo, sappiamo che documenta gli ultimi anni della vita di Hypatia – o Ipazia – matematica, astronoma e filosofa locale, e che ci sono buone probabilità che il racconto di quell’epoca, legata a un poco edificante capitolo nella storia paleocristiana, soprattutto se fedele alle testimonianze storiche, non sia stato digerito molto bene dalle autorità vaticane.
Non si potrebbe però far finta, almeno per una volta, di avere a che fare con un pubblico di persone adulte, in grado di pensare indipendentemente e formarsi un’opinione dopo aver visionato il film? Magari dopo aver fatto anche qualche ricerchina?
A quanto pare no: la strepitosa notizia è che la maggior parte degli italiani non vedrà mai Agorà. Sogni d’oro.
Ci rivela infatti Fulvia Amabile su La Stampa che, per quanto riguarda l’acquisto dei diritti del film “In Italia per il momento tutto tace. I produttori l’hanno guardato con attenzione al Festival di Cannes a maggio, quando era stato presentato fuori concorso. Poi una lunga pausa di riflessione. Così lunga e così silenziosa da aver fatto pensare a molti a qualcosa di più di una semplice valutazione dal sapore economico-aziendale” [1].
E ora le consuete domande di Àp0ti (non ce ne vogliate: noi non residiamo nel Belpaese, siete voi i nostri occhi laggiù): si sa più niente del film? È stato squarciato il velo dell’omertà? È poi apparso sugli schermi della penisola? Attendiamo fiduciosi qualche risposta.
Tuttavia, dovesse la risposta essere un grosso-grasso “no”, ve ne prego, abbiate un po’ di comprensione per questi silenziosi distributori che tuttora si ostinano a fischiettare e fare i vaghi, nella speranza che anche questa storiaccia, come tutto, finisca presto nel dimenticatoio. Vi chiediamo dunque di togliervi dalla mente le prevedibili parole “Viscidi-codardi-baciapile” e cerchiamo piuttosto di capire che cosa possa mai aver portato a questa censura.
Dopotutto nel 1988 L’Ultima Tentazione di Cristo arrivò eccome nelle sale di tutta Europa, Italia compresa: certo, non è difficile immaginare che anche in quel frangente i soliti distributori italiani, nel decidere se acquistare il film o no, dovettero probabilmente avere centinaia di simili, lassativi scrupoli prima che prevalesse finalmente il buon senso (degli affari, naturalmente). Tuttavia Temptation venne distribuito, e messo a disposizione di chiunque avesse qualche soldo in tasca, desiderio di andare a vederlo, e sufficiente coraggio di attraversare il cordone di picchetto davanti al cinema, formato da suore inferocite e disposte a prendere a pugni in faccia chi volesse avventurarsi nel cinema (accadde a Dublino, assicura lo scrittore Graham Linehan).
E allora che cos’è diverso oggi? Ipazia?
Che ne dite, procediamo su questa ipotesi e, lasciando per un attimo da parte il film, diamo un’occhiata al personaggio storico? Ci state?
Siamo ad Alessandria d’Egitto sul finire del IV secolo: un’epoca in cui, come scrive il teologo Hans Kung, “il cristianesimo si apprestava a trasformarsi da chiesa perseguitata a chiesa persecutrice” [2]. In altre parole, è una chiesa che – ormai sicura di sé e imbaldanzita da documenti ufficiali che da decenni ne sanciscono la legittimità (dall’editto di Milano in poi) - si sta rendendo conto che è finalmente arrivato il suo turno di negare ad altri culti quella magnanima tolleranza che essa stessa aveva passato più di tre secoli a esigere per sé.
A capo di un instabile impero, ormai destinato a spaccarsi in due, è il bizantino Teodosio I, un tipo con il quale non si scherza: si sa, è il primo imperatore a proibire ufficialmente tutte le osservanze pubbliche di riti non cristiani, cancellarne le festività, chiudere i templi e colludere con atti di sana e cristiana violenza alle spese di malcapitati ebrei e pagani. Si pensi ai suoi amorevoli editti, uno dei quali sentenzia che chiunque sorpreso a sacrificare – che so io – un capretto o a consultarne le viscere a scopo divinatorio, dovrà essere punito con la stessa pena prevista per il reato di lesa maestà.
Pena di morte, nel caso vi fosse sorta la curiosità.
È in questo periodo, dominato da fraterna e cristiana carità, che i possedimenti di cittadini considerati ‘eretici’ vengono confiscati, i loro templi purificati e ridedicati a questo nuovo monotesimo senza compromessi, non prima naturalmente di aver distrutto ogni traccia del loro passato pagano: questo include, ad Alessandria d’Egitto, un vandalico accanimento contro il Serapeio, un tempio dedicato a una scuola misterica, la cui biblioteca viene data alle fiamme, e le cui statue vengono trascinate in strada e distrutte.
Questa fresca ondata di bigotto fondamentalismo non accenna a diminuire con gli anni, né è d’aiuto il fatto che, morti nel giro di vent’anni Teodosio I e suo figlio Arcadio, a ereditare ufficiosamente il trono nel 414 d.C. sia la teenager Elia Pulcheria, motivata da devota adorazione nei confronti di Cirillo, pope d’Alessandria.
Un bel quadretto, no? E di questo Cirillo, pensate ciò che volete, ma non si può certo dire che se ne stia con le mani in mano.
Ci racconta Piergiorgio Odifreddi che “in soli tre anni il predicatore della religione dell’amore riuscì a fomentare l’odio contro gli ebrei, costringendoli all’esilio. Servendosi di un braccio armato costituito da monaci combattenti sparse il terrore nella città e arrivò a ferire il governatore Oreste. Ma la sua vera vittima sacrificale fu Ipazia, il personaggio culturale più noto della città” [3].
Insomma, chi è questa Ipazia?
Scienziata e docente, “così rispettata per la sua erudizione da aver sconfitto i pregiudizi degli uomini ed essere assorta allle massime cattedre nelle scuole di Alessandria. Le folle di fanatici cristiani le attribuirono la colpa di aver impedito una riappacificazione tra il Prefetto d’Egitto e Cirillo, vescovo di Alessandria”; così si legge nella monumentale Storia del Cristianesimo di Diarmaid McCulloch [4].
O dovremmo dare ascolto alla più romanzesca versione di Jonathan Black, che nella sua Storia Segreta del Mondo, la vorrebbe “una delle menti più brillanti del suo tempo, [che] attirava grandi folle di spettatori ai suoi seminari [e che] spiegava nelle sue lezioni come il cristianesimo si fosse evoluto dagli insegnamenti delle scuole dei Misteri”? [5]
Fu questo che fece schiumare alla bocca i pii seguaci di Cirillo?
D’accordo, vi sento ansiosi di passare alla parte splatter di questa storia; la seguente narrazione è basata su quanto ci tramanda lo storico contemporaneo Socrate Scolastico.
“Alcuni di questi [monaci combattenti], animati da bigotto e feroce zelo e guidati dal loro capo Pietro Lettore [braccio destro di Cirillo, n.d.r.], le sbarrarono il cammino verso casa, la trascinarono fuori dalla sua carrozza, la condussero nella chiesa chiamata Cæsareum, dove la spogliarono completamente e la massacrarono con delle mattonelle [alcuni dicono che la scuoiarono con delle conchiglie d’ostrica, n.d.r.]; dopo aver fatto a pezzi il suo corpo, portarono le sue membra spolpate in un posto chiamato Cinaron e lì le bruciarono”[6].
Bene, vi domanderete, vi fu un’inchiesta a séguito di questo spirituale episodio di carità cristiana?
Certo che ci fu un’inchiesta, perbacco, la giustizia deve fare il suo corso! Un vero peccato dunque, che a occuparsi del suo frettoloso insabbiamento fu proprio la de facto imperatrice Elia Pulcheria, manovrata a sua volta dal vescovo Cirillo.
Allora, tornando al film di Amenabár, quello che in Italia si è pensato bene di non distribuire per non turbare certe sensibilità: possibile che la chiesa, aperta e moderna come la conosciamo oggi a sedici secoli di distanza, chiesa cool con chitarre e blue jeans, che si-rinnova-per-la-nuova-società, per citare il poeta, non abbia ancora trovato il tempo di dissociarsi dall’infame martirio della filosofa? Perché, dio-non-voglia, se la posizione della chiesa fosse tuttora schierata a favore di Cirillo ed Elia Pulcheria, mandante di un brutale omicidio il primo, omertosa insabbiatrice che consentì l’impunità a un branco di assassini la seconda, beh se così fosse, questi due personaggi sarebbero – per esempio – celebrati come santi; magari – che so io – come San Cirillo e Sant’Elia, chissà, forse venerati il 27 giugno e il 10 settembre, rispettivamente.
Non sia mai.
Né sia mai detto che noi di Àp0ti ci permetteremmo di segnalarvi una petizione che circola dal novembre 2009 per fare pressione su Canal + España, Cinebiss, Himenóptero, Mod Producciones, Telecinco Cinema, Twentieth Century-Fox Film Corporation e chiunque abbia voce in capitolo acciocché il film venga distribuito in Italia, petizione reperibile a questo indirizzo:
http://zamparini.wordpress.com/2009/11/09/supera-le-5-000-firme-la-petizione-perche-il-film-agora-trovi-distribuzione-in-italia-tra-i-supporter-hack-e-odifreddi/
Mai e poi mai.
Pace.
Rinaldo Francesca, 07/02/2010
Il problema, caro Alejandro, è che talvolta aprire gli occhi può farci correre il rischio di imparare qualcosa e, non sia mai, regalarci dei sonni agitati. Per questo è importante che ci siano sempre persone disposte a vigilare assiduamente sul nostro sonno, particolarmente in Italia. Ragion per cui il tuo nuovo film Agorà probabilmente non verrà proiettato nelle sale cinematografiche italiane. Torniamo pure a dormire.
Sì, è vero, ne esiste una versione in lingua originale disponibile sul caro vecchio freemediatv.com, ma si tratta di un’orrenda copia filmata in un cinema, che propone solamente quelle sei o sette principali scene, spiattellate e ripetute in ordine sparso per la durata di due ore (qui si parla per esperienza: ce ne siamo inflitti personalmente una visione per evitarvi di sprecare due ore della vostra vita).
Allora, Free Media TV, ce lo dite voi come possiamo valutare di persona quanto offensiva – o innocua - possa essere l’ultima fatica di Amenabár con questi pochi elementi a nostra disposizione? D’accordo, ci è stato detto che Agorà è ambientato ad Alessandria d’Egitto agli albori del V secolo; d’accordo, sappiamo che documenta gli ultimi anni della vita di Hypatia – o Ipazia – matematica, astronoma e filosofa locale, e che ci sono buone probabilità che il racconto di quell’epoca, legata a un poco edificante capitolo nella storia paleocristiana, soprattutto se fedele alle testimonianze storiche, non sia stato digerito molto bene dalle autorità vaticane.
Non si potrebbe però far finta, almeno per una volta, di avere a che fare con un pubblico di persone adulte, in grado di pensare indipendentemente e formarsi un’opinione dopo aver visionato il film? Magari dopo aver fatto anche qualche ricerchina?
A quanto pare no: la strepitosa notizia è che la maggior parte degli italiani non vedrà mai Agorà. Sogni d’oro.
Ci rivela infatti Fulvia Amabile su La Stampa che, per quanto riguarda l’acquisto dei diritti del film “In Italia per il momento tutto tace. I produttori l’hanno guardato con attenzione al Festival di Cannes a maggio, quando era stato presentato fuori concorso. Poi una lunga pausa di riflessione. Così lunga e così silenziosa da aver fatto pensare a molti a qualcosa di più di una semplice valutazione dal sapore economico-aziendale” [1].
E ora le consuete domande di Àp0ti (non ce ne vogliate: noi non residiamo nel Belpaese, siete voi i nostri occhi laggiù): si sa più niente del film? È stato squarciato il velo dell’omertà? È poi apparso sugli schermi della penisola? Attendiamo fiduciosi qualche risposta.
Tuttavia, dovesse la risposta essere un grosso-grasso “no”, ve ne prego, abbiate un po’ di comprensione per questi silenziosi distributori che tuttora si ostinano a fischiettare e fare i vaghi, nella speranza che anche questa storiaccia, come tutto, finisca presto nel dimenticatoio. Vi chiediamo dunque di togliervi dalla mente le prevedibili parole “Viscidi-codardi-baciapile” e cerchiamo piuttosto di capire che cosa possa mai aver portato a questa censura.
Dopotutto nel 1988 L’Ultima Tentazione di Cristo arrivò eccome nelle sale di tutta Europa, Italia compresa: certo, non è difficile immaginare che anche in quel frangente i soliti distributori italiani, nel decidere se acquistare il film o no, dovettero probabilmente avere centinaia di simili, lassativi scrupoli prima che prevalesse finalmente il buon senso (degli affari, naturalmente). Tuttavia Temptation venne distribuito, e messo a disposizione di chiunque avesse qualche soldo in tasca, desiderio di andare a vederlo, e sufficiente coraggio di attraversare il cordone di picchetto davanti al cinema, formato da suore inferocite e disposte a prendere a pugni in faccia chi volesse avventurarsi nel cinema (accadde a Dublino, assicura lo scrittore Graham Linehan).
E allora che cos’è diverso oggi? Ipazia?
Che ne dite, procediamo su questa ipotesi e, lasciando per un attimo da parte il film, diamo un’occhiata al personaggio storico? Ci state?
Siamo ad Alessandria d’Egitto sul finire del IV secolo: un’epoca in cui, come scrive il teologo Hans Kung, “il cristianesimo si apprestava a trasformarsi da chiesa perseguitata a chiesa persecutrice” [2]. In altre parole, è una chiesa che – ormai sicura di sé e imbaldanzita da documenti ufficiali che da decenni ne sanciscono la legittimità (dall’editto di Milano in poi) - si sta rendendo conto che è finalmente arrivato il suo turno di negare ad altri culti quella magnanima tolleranza che essa stessa aveva passato più di tre secoli a esigere per sé.
A capo di un instabile impero, ormai destinato a spaccarsi in due, è il bizantino Teodosio I, un tipo con il quale non si scherza: si sa, è il primo imperatore a proibire ufficialmente tutte le osservanze pubbliche di riti non cristiani, cancellarne le festività, chiudere i templi e colludere con atti di sana e cristiana violenza alle spese di malcapitati ebrei e pagani. Si pensi ai suoi amorevoli editti, uno dei quali sentenzia che chiunque sorpreso a sacrificare – che so io – un capretto o a consultarne le viscere a scopo divinatorio, dovrà essere punito con la stessa pena prevista per il reato di lesa maestà.
Pena di morte, nel caso vi fosse sorta la curiosità.
È in questo periodo, dominato da fraterna e cristiana carità, che i possedimenti di cittadini considerati ‘eretici’ vengono confiscati, i loro templi purificati e ridedicati a questo nuovo monotesimo senza compromessi, non prima naturalmente di aver distrutto ogni traccia del loro passato pagano: questo include, ad Alessandria d’Egitto, un vandalico accanimento contro il Serapeio, un tempio dedicato a una scuola misterica, la cui biblioteca viene data alle fiamme, e le cui statue vengono trascinate in strada e distrutte.
Questa fresca ondata di bigotto fondamentalismo non accenna a diminuire con gli anni, né è d’aiuto il fatto che, morti nel giro di vent’anni Teodosio I e suo figlio Arcadio, a ereditare ufficiosamente il trono nel 414 d.C. sia la teenager Elia Pulcheria, motivata da devota adorazione nei confronti di Cirillo, pope d’Alessandria.
Un bel quadretto, no? E di questo Cirillo, pensate ciò che volete, ma non si può certo dire che se ne stia con le mani in mano.
Ci racconta Piergiorgio Odifreddi che “in soli tre anni il predicatore della religione dell’amore riuscì a fomentare l’odio contro gli ebrei, costringendoli all’esilio. Servendosi di un braccio armato costituito da monaci combattenti sparse il terrore nella città e arrivò a ferire il governatore Oreste. Ma la sua vera vittima sacrificale fu Ipazia, il personaggio culturale più noto della città” [3].
Insomma, chi è questa Ipazia?
Scienziata e docente, “così rispettata per la sua erudizione da aver sconfitto i pregiudizi degli uomini ed essere assorta allle massime cattedre nelle scuole di Alessandria. Le folle di fanatici cristiani le attribuirono la colpa di aver impedito una riappacificazione tra il Prefetto d’Egitto e Cirillo, vescovo di Alessandria”; così si legge nella monumentale Storia del Cristianesimo di Diarmaid McCulloch [4].
O dovremmo dare ascolto alla più romanzesca versione di Jonathan Black, che nella sua Storia Segreta del Mondo, la vorrebbe “una delle menti più brillanti del suo tempo, [che] attirava grandi folle di spettatori ai suoi seminari [e che] spiegava nelle sue lezioni come il cristianesimo si fosse evoluto dagli insegnamenti delle scuole dei Misteri”? [5]
Fu questo che fece schiumare alla bocca i pii seguaci di Cirillo?
D’accordo, vi sento ansiosi di passare alla parte splatter di questa storia; la seguente narrazione è basata su quanto ci tramanda lo storico contemporaneo Socrate Scolastico.
“Alcuni di questi [monaci combattenti], animati da bigotto e feroce zelo e guidati dal loro capo Pietro Lettore [braccio destro di Cirillo, n.d.r.], le sbarrarono il cammino verso casa, la trascinarono fuori dalla sua carrozza, la condussero nella chiesa chiamata Cæsareum, dove la spogliarono completamente e la massacrarono con delle mattonelle [alcuni dicono che la scuoiarono con delle conchiglie d’ostrica, n.d.r.]; dopo aver fatto a pezzi il suo corpo, portarono le sue membra spolpate in un posto chiamato Cinaron e lì le bruciarono”[6].
Bene, vi domanderete, vi fu un’inchiesta a séguito di questo spirituale episodio di carità cristiana?
Certo che ci fu un’inchiesta, perbacco, la giustizia deve fare il suo corso! Un vero peccato dunque, che a occuparsi del suo frettoloso insabbiamento fu proprio la de facto imperatrice Elia Pulcheria, manovrata a sua volta dal vescovo Cirillo.
Allora, tornando al film di Amenabár, quello che in Italia si è pensato bene di non distribuire per non turbare certe sensibilità: possibile che la chiesa, aperta e moderna come la conosciamo oggi a sedici secoli di distanza, chiesa cool con chitarre e blue jeans, che si-rinnova-per-la-nuova-società, per citare il poeta, non abbia ancora trovato il tempo di dissociarsi dall’infame martirio della filosofa? Perché, dio-non-voglia, se la posizione della chiesa fosse tuttora schierata a favore di Cirillo ed Elia Pulcheria, mandante di un brutale omicidio il primo, omertosa insabbiatrice che consentì l’impunità a un branco di assassini la seconda, beh se così fosse, questi due personaggi sarebbero – per esempio – celebrati come santi; magari – che so io – come San Cirillo e Sant’Elia, chissà, forse venerati il 27 giugno e il 10 settembre, rispettivamente.
Non sia mai.
Né sia mai detto che noi di Àp0ti ci permetteremmo di segnalarvi una petizione che circola dal novembre 2009 per fare pressione su Canal + España, Cinebiss, Himenóptero, Mod Producciones, Telecinco Cinema, Twentieth Century-Fox Film Corporation e chiunque abbia voce in capitolo acciocché il film venga distribuito in Italia, petizione reperibile a questo indirizzo:
http://zamparini.wordpress.com/2009/11/09/supera-le-5-000-firme-la-petizione-perche-il-film-agora-trovi-distribuzione-in-italia-tra-i-supporter-hack-e-odifreddi/
Mai e poi mai.
Pace.
Rinaldo Francesca, 07/02/2010
[1] Fulvia Amabile: Il film che l'Italia non vedrà, La Stampa, 07/10/09, http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=124&ID_articolo=730&ID_sezione=&sezione
[2] Hans Kung (2003), The Catholic Church: a Short History, p.79
[3] Piergiorgio Odifreddi. «E il vescovo ordinò: “Uccidete Ipazia”, la prima matematica della storia. Inventò l’astrolabio, il planisfero e l’idroscopio. Fu la vittima del conflitto tra fede e ragione». La Stampa, sabato 21 agosto 1999, supplemento tutto Libri tempo Libero pagina 5, disponibile su http://www.uaar.it/ateismo/contributi/07.html
[4] Diarmaid McCulloch (2009), A History of Christianity. The First Three Thousand Years, pp.220-1.
[5] Jonathan Black (2008), The Secret History of The World, p.317
[2] Hans Kung (2003), The Catholic Church: a Short History, p.79
[3] Piergiorgio Odifreddi. «E il vescovo ordinò: “Uccidete Ipazia”, la prima matematica della storia. Inventò l’astrolabio, il planisfero e l’idroscopio. Fu la vittima del conflitto tra fede e ragione». La Stampa, sabato 21 agosto 1999, supplemento tutto Libri tempo Libero pagina 5, disponibile su http://www.uaar.it/ateismo/contributi/07.html
[4] Diarmaid McCulloch (2009), A History of Christianity. The First Three Thousand Years, pp.220-1.
[5] Jonathan Black (2008), The Secret History of The World, p.317
[6] Disponibile su: http://www.ccel.org/ccel/schaff/npnf202.ii.x.xv.html
No comments:
Post a Comment