Sapete,
cari Àp0ti,
tutto sommato mi ha fatto bene andare l'altro ieri al pannello di
discussione “People
Helping People”, al palazzo dell'ONU qui a Ginevra in occasione
della Giornata dell'Aiuto Umanitario – avete presente, quelle belle
parolone che è ormai
impossibile digitare in un motore di ricerca senza veder spuntare il
visino costernato di un'Angelina Jolie o una Beyoncé.
Non
che non mi aspettassi che questo pannello, in cui era prevista una
serie di botta e risposta fra reporters di zone di conflitto da un
lato e organizzazioni internazionali in seno all'ONU e alla Croce
Rossa dall'altro, non sarebbe sfociato in una panoplia di luoghi
comuni come l'onnipresente imperativo del giornalisti di “catturare
anche l'umanità”
nell'ambito di un conflitto, “il lato umano”, “il sorriso di un
bambino”, etc., etc... In gran parte così
è stato.
Tuttavia
mi ha fatto piacere vedere una dei reporters nel pannello, la svedese
Gunilla
Von Hall, lasciarsi andare a uno sfogo – della quale le sono grato – in cui
del candore è
finalmente emerso, in mondovisione per giunta. Questo rende
ulteriormente l'idea – se mai ce n'era ancora bisogno – di come
le notizie, riportate anche dai più
infimi outlets in tutto il mondo, non provengano tutte che da
un'unica, onnipresente fonte: l'unanime Corporate Media, la quale
detta legge su che cosa – e in che modo – vada scritto. Questa
spassionata ammissione ha per me più
valore in quanto genuinamente di provenienza insider e dovrebbe
rendere un'idea del perché si sia ristretto notevolmente negli
ultimi anni il budget per i corrispondenti esteri, sempre più
ridotti al ruolo di ripetitori della Linea di Partito. Grazie
Gunilla.
Per
visionare l'intervento, procedere al ventiseiesimo minuto di questo
video. In basso trovate la traduzione.
G. Von Hall: Vorrei
dire una cosa riguardo al fatto che noi giornalisti tendiamo a
saltare a pie' pari in una “situazione” e fare i nostri reportage
da lì. Esiste un fenomeno, noto come “giornalismo paracadutato”,
e questa è un tendenza che è venuta ad aumentare perché c'è meno
denaro nell'industria dei media: c'è un numero minore di
corrispondenti esteri, basati un po' dappertutto, e siamo quindi in
pochi a dover andare ovunque e riportare I conflitti. Così ci
paracadutano, e noi saltiamo nel mezzo di un conflitto; a quel punto
seguiamo semplicemente I grandi Media – vale a dire BBC, CNN,
Reuters, Associated Press, le grandi agenzie insomma – e sono loro
a decidere l'agenda: molti tra noi le seguono – talvolta anche
troppo acriticamente, secondo me – e i nostri editori semplicemente
leggono ciò che scrive Reuters, per esempio, e allora ci dicono:
“Questo è quello che scrive Reuters? Questa è la storia che
scriverete anche voi”. Non facciamo altro che ripetere le nostre
reciproche storie, invece di fermarci a riflettere, qualche volta, e
magari domandarci: “Ma non ci saranno degli angoli che stiamo
ignorando?” Invece, la maggior parte tra noi si occupa solamente
delle 5 “D”: Dead (i morti), Dying (i moribondi), Deceased (i
deceduti), Displaced (gli sfollati), Depressing (i deprimenti). Una
volta che abbiamo coperto questi cinque angoli, via, veniamo mandati
al prossimo conflitto più vicino, per coprire – ancora una volta –
gli stessi identici angoli.
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