Saturday, 5 June 2010

I pubblicitari si mobilitano

“In questo giorno siamo venuti per commemorare un altro dorato anello della catena di persone che si sono opposte al vile nazionalismo, al movimento egoista che si è ammantato di sacralità, e che si è appropriato dell’identità ebraica per perpetrare i crimini più orripilanti” - Rabbino Yisroel Dovid Weiss

Nessuno ha mai detto che fosse facile fare il mestiere di pubblicitario. Ci vuole talento per promuovere un prodotto di cui il consumatore non è convinto, è necessario saper improvvisare, adattarsi, inventare strategie che cambino di volta in volta, coniare slogan che facciano appello all’emotività dei potenziali acquirenti. Quanto più importante è il prodotto, tanto più sopraffine sono le menti incaricate di pubblicizzarlo: è quindi confortante sapere che, quando si tratta di vendere una linea importante come il governo israeliano e le IDF (Israeli Defence Forces), solo i migliori rispondono alla chiamata, particolarmente in tempi come questi, in cui il prodotto è quanto mai difficile da far ingoiare.
È in questi momenti che per i creatives diviene necessario convincere i committenti di dette pubblicità che i loro soldi sono stati spesi bene.
Certo, vi sarà chi ritiene che gli autori dei recenti editoriali a difesa delle azioni compiute cinque giorni fa dalle Forze Armate Israeliane in acque internazionali hanno in realtà agito in quanto mossi da passione personale, motivati dalle loro sincere convinzioni.
Indubbiamente, perché no? Però ammettiamolo, via: come diceva Heath Ledger ne Il Cavaliere Oscuro, “se si è bravi a fare una cosa, che senso ha farla gratis?”
Nella migliore tradizione alla Edward Bernays – nipote americano di Sigmund Freud e inventore del termine Public Relations, tanto ammirato dal Dr. Joseph Goebbels [1] – i più efficienti del settore si sono affrettati a competere gli uni con gli altri per varare la più efficace campagna pubblicitaria a difesa dell’uccisione da parte della marina israeliana di 9 civili a bordo della nave Mavi Marmora, che componeva la Freedom Flotilla destinata a portare aiuti umanitari a Gaza. Il compito non era facile, d’accordo; ragione in più per ammirare gli eroici pensatori che si sono cimentati nella difficile arte delle PR.
Se siete in vena, vi invitiamo a seguirci nell’analisi delle tecniche utilizzate in alcuni degli spot apparsi con efficientissima sincronia su alcuni mezzi di comunicazione in Italia. Ci state?

1. La distrazione

Questo è l’equivalente di gridare al-ladro-al-ladro quando si è appena stati sorpresi con le mani nella tasca di un ignaro passante con l’intenzione di rubargli il portafoglio. Distrarre dunque l’attenzione dal fatto principale e pilotarla verso un altro evento, talvolta marginale - più spesso inesistente. Nelle pubblicità questo è identificabile con la tecnica di reclamizzare un medicinale in un setting idilliaco, che suggerisca pace, armonia e soprattutto salute: lo scopo è in realtà distrarre lo spettatore dagli spaventosi effetti collaterali in stile: “massicci dosaggi possono avere decorso fatale”.
Per quanto riguarda il sapiente uso di questa tecnica in riferimento all’attacco sulla Mavi Marmora, è d’obbligo ammirare Fiamma Nirenstein, la quale ci informa che la nave conteneva membri della “organizzazione turca IHH, protagonista della vicenda [e che] è sempre stata filoterrorista” [2]. Più o meno lo stesso concetto – sebbene un po’ più emotivamente e con qualche punto esclamativo in omaggio – ci viene regalato da Deborah Fait: “Scommetto, amici, che vorrete sapere chi ha organizzato la Flottiglia dell'odio!
Eccovi serviti, leggete attentamente e tranquillamente il Link qui di seguito e saprete tutto su questa organizzazione filoterrorista, chiamata IHH, che protegge la jihad e ogni gruppo fondamentalista e estremista islamico:
http://www.terrorism-info.org.il/malam_multimedia/English/eng_n/html/hamas_e105.htm” [3].
Leggete attentamente e tranquillamente indeed!
In altre parole, siete invitati a ignorare le centinaia di attivisti e pacifisti che trasportavano viveri, medicinali e risorse scolastiche alla popolazione sotto assedio a Gaza, e di concentrarvi esclusivamente su uno sparuto gruppo di estremisti che si trovava su una delle otto navi.
Non vi sarà sfuggito che questo ragionamento non è molto dissimile dal dire che, siccome esiste una minoranza di politici israeliani che non può nemmeno viaggiare in alcuni paesi europei per paura di un arresto per crimini di guerra (viene per esempio in mente il vice premier Moshe Ya'alon [4], o Tzipi Livni, per accomodare la quale adesso il governo britannico si sta affrettando a cambiare la legge [5]), allora è doveroso ignorare la maggioranza di personalità politiche in Israele, le quali in buona fede si adoperano da anni per ottenere una pace equa e duratura.
Per continuare sul piano della distrazione – ahimé – proprio non ce l’hanno fatta a strapparci l’applauso Michael Sfaradi e le stesse Nirenstein e Fait, con la loro prevedibile menzione del caporale dell’esercito israeliano Gilad Shalit, “da oltre quattro anni nelle mani [di Hamas]” [6].
Questo non tanto perché il rapimento di Shalit – del quale ci auguriamo l'incolumità e pronta liberazione - abbia ben poco a che vedere con l’attacco alla Flottiglia (d’altronde non a caso questa tecnica si chiama “distrazione”), quanto piuttosto perché sarebbe troppo facile controbilanciare questa informazione con quanto riportato dall’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, secondo la quale un migliaio di cittadini palestinesi sono attualmente detenuti nelle carceri senza essere stati informati di che cosa li si accusi e, ça va sans dire, senza lo straccio di un processo (administrative detainees) [7]. Per chi non ci fosse ancora arrivato, questo significa che si sta parlando di un migliaio di persone rapite da Israele che tuttora languono in cella, proprio come il caporale Shalit si trova tuttora nelle mani di Hamas. Ecco perché, a nostro parere, vi siete infilati in un territorio spinosetto e arduo da difendere, cari Michael, Fiamma e Deborah.
Cerchiamo di fare un po’ più attenzione in futuro, OK?

2. La legittimizzazione

Che parolona, eh? Eppure non è necessario spiegarvi in che cosa consista questa tecnica; l’avete vista centinaia di volte, in tutte quelle pubblicità dove si vede un tizio in camice bianco dire cose come: “Questo prodotto è raccomandato dall’associazione medici/dentisti/psichiatri, bla-bla-bla”.
In questo campo, il nostro preferito fra tutti non può che essere Ugo Volli, il quale ce la mette proprio tutta a legittimizzare non solo la tentata deviazione di rotta delle navi da parte della marina militare israeliana (e l’arrembaggio che è seguito), ma anche il blocco su Gaza, che da quattro anni viene imposto su quello che è di fatto il più grande penitenziario del mondo. A questo proposito Volli è persino riuscito a reperire una legge del 1856 – tanto di cappello per aver imparato a usare Wikipedia: “Il blocco navale” scrive Volli “è una pratica di guerra antica (risale almeno alle guerre napoleoniche) e legittima (sancita dal Congresso di Parigi del 1856). Esso consente alla potenza bloccante di catturare o anche affondare tutte le navi che cercano di violare il blocco anche in mare aperto, senza limiti di acque territoriali” [8].
È un eccellente reperto quello presentato da Volli, ma presenta un paio di problemini: per quanto affascinante possa essere lo spolverare oscuri codici napoleonici – per chi ha tempo da vendere - ci vuole qualcosina di un po’ più sostanzioso dell’antichità di una legge per garantirne la legittimità. Ugo, gioia, lo sapevi che anche ius primæ noctis era una legge molto antica?
Beh, consapevole di non poter competere con la tua enciclopedica cultura, Àp0ti si può giusto accontentare di ricordarti l’articolo 33 della 4° Convenzione di Ginevra [9], che proibisce alle forze di occupazione di applicare punizioni collettive (razionamento di viveri e generi di primaria necessità) contro la popolazione di un territorio occupato. Il blocco su Gaza è quindi una violazione del diritto internazionale e un crimine di guerra. Lo sapevi?
Cambiando abilissimamente discorso (vedere “distrazione”), Volli prosegue legittimando il diritto di Israele a difendersi in questo passaggio: “Neppure un testo così antisraeliano come il Rapporto Goldstone ha negato a Israele il diritto di autodifesa”. L’applauso per Volli è qui più che meritato; non tanto per “il diritto di autodifesa” che peraltro, a gennaio dell’anno scorso, venne interpretato dalla macchina da guerra israeliana come “il diritto di bombardare scuole e ospedali uccidendo 1400 persone”, quanto piuttosto per aver ammirevolmente eseguito l’acrobazia mentale e retorica necessaria per convincersi che il rapporto Goldstone sia “antisraeliano”. Qui Ugo Volli si gioca una carta rischiosa, perché sa benissimo – anche se spera non lo sappiano i suoi lettori – che l’autore del rapporto Richard Goldstone è da sempre un dichiarato sionista (sebbene ultimamente si sia guadagnato l’ostilità dei più intransigenti tra i suoi colleghi), ed è – ahimé – un po’ più difficile collocarlo nella consueta logica di anitisemita/ebreo-che-odia-se-stesso.
“La logica del blocco navale a Gaza deriva dal fatto che dopo il ritiro israeliano di quattro anni fa vi si è stabilito con un colpo di stato il regime terrorista di Hamas”, ci spiega Volli, sempre a proposito del blocco. Siete riusciti a scorgere la sottile tecnica? Non c’è nulla di lasciato al caso qui: osservate quel “dopo il ritiro israeliano [...] vi si è stabilito un colpo di stato”. Questo è un piccolo capolavoro vecchia scuola, Ugo; sembra quasi di immaginare la scena: le truppe israeliane si ritirano e bang! Colpo di stato! Non li si può lasciar soli un minuto, via.
Tuttavia, anche volendoti condonare l'uso improprio dell'espressione “colpo di stato” (l'unico colpo di stato della storia, a quanto pare, perpetrato dal partito che aveva vinto le elezioni), c’è un altro rischio, Ugo: qualche tuo cortese lettore potrebbe farti notare che in realtà passarono due anni fra un evento e l’altro. Due anni – uno potrebbe aggiungere – nei quali il maggior timore ai vertici del governo israeliano era proprio che Hamas e Fatah raggiungessero un accordo, costringendo Israele a ritornare al tavolo delle negoziazioni, piuttosto che al comando degli aerei da bombardamento F-16 e UAV dove, ammettiamolo, si sente molto più a suo agio.
Ricorderete infatti il panico dell’allora primo ministro Ehud Olmert quando, nel marzo del 2007, una coalizione Fatah-Hamas cominciava a sembrare una terribile realtà; ricorderete anche come Olmert esortasse chiunque avesse voglia di ascoltarlo di boicottare questo neonato governo di unità palestinese, con le parole del portavoce Mark Regev: “Israele non tratterà con questo governo e speriamo che la comunità internazionale faccia altrettanto” [10]. Fortunatamente il tanto atteso colpo di stato mise fine a tutto ciò. Scampata bella, eh?
Ma la migliore legittimizzazione rimane quella di Angelo Pezzana che, con disprezzo del congiuntivo, scrive su Libero [11]: “Tutta l'Europa è Israele, tutto il mondo civile è Israele, nessuno si senta tranquillo perchè la guerra è lontana. E' più vicina di quanto ci hanno insegnato a credere”. Capite? Israele siamo noi. Disumano chiunque sia di un’altra opinione.

3. La delegittimizzazione

Questa è la ben nota tecnica usata per annunciare che i prodotti rivali sono di inferiore qualità: spesso si traduce in espressioni come: “Diffidate delle imitazioni”.
Qui è naturalmente importante ridicolizzare chiunque si azzardi a inorridire alla notizia dell'ennesima uccisione di civili da parte delle Forze Armate Israeliane. Il compito è duro ma Ugo Volli è senz'altro all'altezza: “I soldati israeliani si sono comportati benissimo [...]. Li condannano quelli che non sanno come sono andate le cose o gli ipocriti propagandisti dell'islamismo e chi va loro dietro”.
Guai a voi se osate domandare a Volli in quale di queste tre categorie abbia intenzione di inserire il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che ha per l’appunto condannato l’attacco [12].
La delegittimizzazione più significativa però è quella dei pacifisti-ma-quali-pacifisti-sono-tutti-terroristi. Osservate in quale modo viene attuata.
Nirenstein ci informa che “Israele aveva più volte offerto agli organizzatori della flotta di ispezionare i beni nel porto di Ashdod, e quindi di recapitarlo ai destinatari. Essi avevano rifiutato, e questa sembra una prova abbastanza buona della loro scarsa vocazione umanitaria”; Pezzana incalza su Libero: “[...] come è possibile pensare che le motovedette di Israele avessero intenzioni ostili, quando il messaggio ai naviganti era l’invito ad attraccare al vicino porto di Ashdod per verificare che i carichi delle imbarcazioni non contenessero armi?”.
Ciò che questi autori riescono abilmente a fare è avitare accuratamente di parlare di quanto era successo ai precedenti tentativi di far arrivare aiuti umanitari a Gaza via mare: la nave Spirit of Humanity, per esempio, fu catturata dalla marina israeliana il 30 giugno 2009, e il carico a bordo fu confiscato. Forse, se abbiamo pazienza di aspettare, questi stessi autori ci forniranno un giorno le prove che le autorità israeliane si siano appunto premurate “di recapitarlo ai destinatari”. Forse.
Nel frattempo è lecito pensare che questa volta l’equipaggio della flottiglia abbia preferito non farsi fregare come i suoi predecessori.
È però R. A. Segre su Il Giornale a commettere il tragico errore di lasciarsi sfuggire: “Per agire prima della luce dell'alba la marina ha commesso l'errore di operare nelle acque internazionali compromettendosi col diritto internazionale” [13].
Acque internazionali? Provaci tu a spiegarlo a Deborah Fait, che insiste che l’episodio “e' accaduto ieri all'alba nelle acque territoriali israeliane” [3]. Accidenti ragazzi, forse sarebbe stato meglio mettersi d’accordo prima su quanto scrivere, no?

4. Il senso di colpa

Questa è una tecnica piuttosto estrema, che potete chiamare ricatto morale, se volete. È talvolta usata per vendere prodotti come assicurazioni sulla vita per i propri cari o affini, e il messaggio è il seguente: se non comprate questo prodotto siete disumani, senza cuore e, perché no, anche un po’ criminali. Shame on you!
Avrete già intuito quale sia l’applicazione in questo contesto: chiunque osi criticare questo attacco farebbe bene a mostrare coerenza fino in fondo, e tirare fuori dall’armadio quell’uniforme delle SS – siamo certi che ne possiede una da qualche parte – e indossarla per il resto dei suoi giorni.
A questo proposito va detto che la maggior parte degli autori citati si è guardata bene dall’abusare del panic button dell’anitsemitismo, vuoi per la difficoltà di dimostrare una simile tesi in questo caso, vuoi per la ben nota fine che toccò al ragazzetto che gridava al-lupo-al-lupo.
Rimane però la nostra preferita Deborah Fait, alla quale forse nessuno ha mai letto le fiabe di Esopo. Ecco qualche equilibrato estratto: “Come sono felici di poter avere la scusa per odiarci sempre di piu' e sognare nuovi fornetti, come sono rabbiosi perche' oggi non esiste piu' l'ebreo che si fa ammazzare a testa bassa quasi a chiedere scusa di esistere […]. Oggi l'Ebreo Nuovo e' Israele, Israele a testa alta, Israele che si difende e che difende ogni ebreo del mondo”.
Sai Deborah, ammiriamo la tua passione, i tuoi punti esclamativi, e troviamo il tuo pezzo (ci autorizzi a chiamarlo poesia?) affascinante.
È per questo che quasi ci piange il cuore a ricordarti un paio di cose che ti sei ben guardata dal menzionare: per esempio la posizione del movimento Voici Ebraiche Indipendenti [14], associazione di intellettuali della comunità ebraica basate in Gran Bretagna, che da anni ci ricorda che, per quanto riguarda Israele, “lo spettro di opinioni tra la popolazione ebraica di questo paese non è rappresentato in quelle istituzioni che si arrogano l’autorità di rappresentare in toto la comunità ebraica” [15], o magari quella coalizione di rabbini americani che a gennaio del 2009 acquistò una pagina del New York Times [16] per esprimere il proprio disgusto all’operazione Piombo Fuso contro la striscia di Gaza. Se questi citati intellettuali non fossero le persone educate che sono, Deborah, probabilmente sarebbero lieti di spiegarti che cosa ci puoi fare con la tua retorica di “Israele che difende ogni ebreo del mondo”.
E che dire delle parole del professor Avi Shlaim, nato e cresciuto in Israele e attualmente professore di relazioni internazionali presso l’università di Oxford: “Il blocco è una forma di punizione collettiva severamente proibita dal diritto internazionale. La Freedom Flotilla era un coraggioso tentativo da parte di numerose organizzazioni per i diritti umani non solo di portare materiali di conforto alla popolazione di Gaza – da troppo tempo agonizzante – ma di fare appello alla coscienza dell’umanità. Per troppo tempo la comunità internazionale ha osservato passivamente il martirio di Gaza” [17]. O magari le parole del rabbino Yisroel David Weiss che, in una manifestazione tenuta per compiangere le vittime dell’attacco, ha detto: “In questo giorno siamo venuti per commemorare un altro dorato anello della catena di persone che si sono opposte al vile nazionalismo, al movimento egoista che si è ammantato di sacralità, e che si è appropriato dell’identità ebraica per perpetrare i crimini più orripilanti” [18].
Oy vey, e adesso come si fa a gridare all’antisemita in questo caso? Un aiutino, Deborah?
Forse un’altra volta. Nel frattempo vi lasciamo con le parole del rapporteur per i diritti umani alle Nazioni Unite Richard Falk: “Questo è stato un incidente scioccante che ha comportato […] un totale disprezzo del diritto internazionale, da molti punti di vista. È stato un atto di pura aggressione. È stato compiuto in alto mare e nello sprezzo dei più elementari standard umanitari. Si sapeva che a bordo della flottiglia non c’erano armi. Non è trattato di un’emergenza di sicurezza, nemmeno a voler usare la fantasia. Se mai c’era un diritto all’autodifesa, spettava alle persone a bordo delle navi [della flottiglia]” [19].
Pace,

Rinaldo Francesca, 05/06/10

[1] “Nel 1933 Joseph Goebbels rivelò a un giornalista americano che lo stava intervistando, come il libro Crystallizing Public Opinion che Bernays aveva pubblicato nel 1923 fosse stato utilizzato per le campagne politiche dei nazional-socialisti” Reperibile qui:
http://www.lafeltrinelli.it/products/9788895962054/Propaganda/Edward_Louis_Bernays.html. Vedere anche: http://www.onlinejournal.com/archive/04-23-01_Binion-Pt_1.pdf
[2] Fiamma Nirenstein: Dieci morti per una verità capovolta, Il Giornale, 01 giugno 2010, reperibile su: http://www.ilgiornale.it/esteri/dieci_morti_verita_capovolta/01-06-2010/articolo-id=449536-page=0-comments=1
[3] Disponibile su: http://deborahfait.ilcannocchiale.it/2010/06/01/non_pestateci_i_piedi.html
[4] Vedere Uri Blau: Vice Premier and ex-IDF chief cancels U.K. visit over arrest fears, Haaretz, 05/10/09, pubblicato su: http://www.haaretz.com/print-edition/news/vice-premier-and-ex-idf-chief-cancels-u-k-visit-over-arrest-fears-1.6702
[5] Alan Travis: Move to change law on 'political' arrest warrants postponed until after election, The Guardian, 4 marzo 2010, che si trova qui: http://www.guardian.co.uk/politics/2010/mar/04/gordon-brown-tzipi-livni-arrest-warrants-change-law
[6] Michael Sfaradi: Tragedia annunciata al largo di Gaza, reperibile su: http://www.opinione.it/articolo.php?arg=4&art=92333
[7] Le statistiche di B’Tselem sono riportate qui:
http://www.btselem.org/English/statistics/Detainees_and_Prisoners.asp
[8] L’intervento di Ugo Volli è reperibile qui: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999930&sez=120&id=34881&print=preview in una pagina web con tanto di fotografia del perfido arabo sanguinario armato di coltello. Purtroppo resta ancora da spiegare come sia possibile attribuire quella foto a un episodio accaduto alle quattro del mattino sulla nave della Freedom Flotilla, data la luce, palesemente diurna, che si riversa nell’ambiente.
[9] Disponibile qui:
http://www.difesa.it/NR/rdonlyres/81E5AF1E-DAB5-4508-9786-4FFBA02AB162/0/conv_ginevra4.pdf
[10] Ian Black, Middle East editor, Rory McCarthy and Ewen MacAskill: Israel risks isolation as Hamas-Fatah coalition takes office, The Guardian, 16 marzo 2007, reperibile su:
http://www.guardian.co.uk/world/2007/mar/16/israel
[11] Angelo Pezzana: Hanno rifiutato i controlli. Un suicidio non reagire, Libero, 1 giugno 2010, reperibile qui: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999930&sez=120&id=34881&print=preview
[12] Security Council condemns attack on Gaza aid flotilla, disponibile sul sito multimedia delle Nazioni Unite: http://www.unmultimedia.org/radio/english/detail/96445.html
[13] R.A. Segre: Così un’operazione giusta rischia la sconfitta politica, Il Giornale, 01 giugno 2010, reperibile su:
http://jewishvoices.squarespace.com/
[15] Julian Borger: Prominent Jews call for open debate on Israel, The Guardian, 5 febbraio 2007, disponibile su: http://www.guardian.co.uk/world/2007/feb/05/israel1
[16] Dave Belden: Why Isn't This News? U.S. Rabbis Call for Gaza Cease-Fire, The Huffington Post, 14 gennaio 2009, reperibile su:
http://www.huffingtonpost.com/dave-belden/why-isnt-this-news-us-rab_b_158019.html
[17] Avi Shlaim: Israel’s Insane Attack on the Freedom Flotilla, 1 giugno 2010, disponibile su:
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=19505
[18] Un video della manifestazione si trova qui:
http://www.youtube.com/watch?v=SXh_T7oO9_g
[19] L’intervista originale è disponibile qui:

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